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Ephesar
Ho pensato fosse opportuno incontrare i campani Ephesar in occasione del rilascio della loro ultima fatica, che avverrà a breve, ma non mi sarei mai aspettato che si presentasse il gruppo intero! Una piacevole sorpresa che ha certamente arricchito l’intervista e portato un po’ di varietà durante un placido mese di luglio. Una buona lettura!
Quando nascono gli Ephesar? Quali sono le origini del nome?
Adriano: Il nome Ephesar è recente, di almeno un paio di anni fa, ma la band è nata, in realtà, nel 2005, sotto il nome di Five Sided Room. Ephesar non è altro che la pronuncia inglese di F, S ed R, ovvero le iniziali del nostro vecchio nome. Quest’ultimo è un concetto molto vecchio e filosofico: è una metafora del mondo nella nostra testa, e di come ognuno di noi vorrebbe che fosse. Lo stereotipo è quello della stanza a quattro lati, perché è un concetto comune a tutti. Infatti, qualunque persona, pensando ad una stanza, la immagina a quattro lati. Il quinto lato è quello “soggettivo”, quindi ognuno vive cercando di trasformare la stanza a quattro lati, il mondo reale, nella stanza dei propri sogni. E’ una metafora che indica il raggiungimento dei propri obiettivi. L’uscire dagli schemi, il condurre una vita estremamente personale.
Cosa vi ha dato, sinora, il mondo della musica?
Fulvio: La musica, sempre soddisfazioni. Il mondo della musica, soddisfazioni e delusioni.
Siete soddisfatti del risultato attualmente raggiunto?
Adriano: Come, credo, risponderebbe chiunque in questa città, vorremmo trovarci più in alto. Ma non certo per presunzione! Il problema, purtroppo, è che ci troviamo in un paese dalle possibilità limitate, io penso sia il caso di sapersi ambientare e di saper pretendere ciò che è possibile pretendere. Noi, infatti, preferiamo fare per conto nostro: oramai ci auto produciamo, in attesa di proposte interessanti.
Le sonorità degli Ephesar sono state, o sono attualmente influenzate da qualche altra band?
Fabrizio: Ci siamo adattati strada facendo. Sicuramente, le nostre prime influenze da ragazzini si basavano, ad esempio, sull’ assolo chilometrico, e la caratteristica principale era il pezzo bello lungo, tecnicismi all’eccesso, tempi dispari, ecc…. Col tempo, abbiamo capito che questo non paga, a meno che non siate i Dream Theater! *ride* Allora, siccome l’indagine di “mercato” della musica che ci circonda è importante da fare, l’abbiamo fatta anno per anno, così stiamo cercando una sorta di compromesso, in modo da suonare non tanto cose che piacciono a noi, quanto ciò che piace alla gente. Se quindi, inizialmente, ci siamo fatti prendere da band come Dream Theater, o da un goth più commerciale come i Lacuna Coil, o ancora i Nightwish o gli Evanescence, con il nuovo disco di cui ci stiamo occupando, stanno emergendo cose molto diverse: non avrei mai pensato di creare i pezzi che stanno venendo fuori ora…è appunto questo che intendo per “indagine di mercato”: stare al passo coi tempi. Ora, sicuramente, i gruppi di riferimento sono quelli più legati al genere elettronico, come gli Amaranthe, i Justice, gli Infected Mushroom…senza arrivare all’estremizzazione, sempre mantenendo una nostra identità a livello musicale, o anche con interventi prog à la Dream Theater. Solo, molto più corti e sporadici. Secondo me, per una band che vuole arrivare fino in fondo, è importante essere al passo coi tempi.
Fulvio: Non è un commercializzarsi nel senso di “vendersi”, però. E’ anche bello confrontarsi con le nuove mode. Cerchiamo di fare quello che piace, ma senza staccarci da quello che CI piace. Sarebbe facile fare un pop rock o magari imitare cose à la Vasco Rossi o Ligabue.
Stefano: Si sperimenta anche per rendere la musica più alla portata di tutti. Oggi, con l’avvento dei computer e la tecnologia, la musica non è più così analogica come una volta.
Come nasce un vostro pezzo? Qual è la vostra tecnica compositiva?
Fabrizio: L’idea di base non parte in un momento preciso, parte e basta. Occupandomi generalmente io di creare uno spunto, solitamente non mi affido allo stato d’animo, né ad altro, per avviare la composizione. La fase di composizione, per me, è stare assolutamente chiuso in camera, o in studio, poiché se qualcuno come Fulvio o Adriano mi dicesse:< Ah, ma io qua farei una parte così…>, allora mi scombinerebbe totalmente le idee. E’ anche vero che alcuni interventi possono, però, essere più costruttivi e gasanti, e ti permettono di concludere un pezzo più velocemente.
Fulvio: E’ vero che inizialmente partiva tutto da Fabrizio, ma è anche vero che da quando abbiamo capito in che direzione si avvia, adesso riusciamo a seguirlo meglio. Ma la verità è che la composizione dipende molto dal musicista.
Stefano: E’ molto legato al discorso che facevamo prima, quello di riadattare il punto di vista di ascolto della musica moderna in chiave Ephesar. Nel momento in cui Fabrizio fa sentire un pezzo a qualcuno, può farsi un’idea, magari facendosi influenzare dall’opinione di un’altra persona.
Fabrizio: E’ vero che, a monte di tutto, c’è l’incoraggiamento altrui. Se qualcuno ti ascolta e dice che vali, per me è pura benzina, mi fa mettere davanti al computer, chitarra alla mano, e mi fa andare fino alla fine del pezzo: magari compongo evitando giri di troppo, o evitando cancellazioni di parti. E comunque, fino a qualche anno fa, non avremmo mai pensato di inserire nei nostri pezzi inserti rap o anche hardcore, ma adesso abbiamo visto che questo la gente vuole ascoltare, e noi ve lo proponiamo come piace a noi. La fase preliminare della composizione è comunque scassarsi le orecchie e anche le palle davanti al computer, per fare una ricerca. Se ho inserito il genere dubstep nei nostri pezzi è stato perché mi sono abbuffato di gruppi estremi di questo tipo. Magari all’inizio può non piacerti, ma è solo una fase di “indagine”. Prima di mettere le mani sulla chitarra, è un genere che ho dovuto capire. E’ stata una ricerca maniacale. Voglio comunque precisare che non sempre tutto parte interamente da me. Voglio contare sulla fiducia di gruppo, ed ovviamente sono loro quattro i primi a sentire le nuove composizioni. Fulvio e Adriano, ad esempio, mi hanno dato molti input.
Parliamo ora del vostro prossimo LP. Che sapete dirci a riguardo? Quando verrà rilasciato, e a che punto sono le registrazioni?
Fabrizio: Il nostro prossimo LP, intitolato The Experiment, mantiene sempre il gioco di parole iniziato dall’album precedente, Exordium. Si chiama così perché sarà un vero e proprio esperimento. Sono partito con l’idea di creare qualcosa di davvero innovativo. Adriano sarà il creatore delle immagini di copertina, booklet, ecc… La cosa bella è che facciamo tutto da soli: grafiche, ovviamente composizione, sito web, gestione dei portali, gestione pubblicitaria. *ride* Il disco, comunque, sarà composto da una dozzina di pezzi, probabilmente. Mantenendo un filone innovativo, ma proponendo un pezzo sempre diverso dall’altro. Non sarà un concept album, ma ogni pezzo sarà, in un modo o nell’altro, connesso ad un altro pezzo. Saranno incursioni che verranno richiamate più o meno durante tutta la scaletta, tramite ad esempio un arpeggio. Noi proporremo diversi “checkpoint”, all’interno del disco, che a mio avviso consentiranno un bell’ascolto di fila, senza pesantezza.
Stefano: Le registrazioni sono a buon punto. Stiamo concludendo le registrazioni home made, dopodiché ci dedicheremo all’ultima canzone dell’album. Manca solo la registrazione in una sala prove professionale delle voci, per poi procedere alla pubblicazione almeno entro settembre.
Su cosa sono orientati i testi degli Ephesar?
Adriano: I testi li scriviamo sia io che la cantante. Alcuni partono da mie argomentazioni, altri da suoi, però spesso lavoriamo insieme. Poiché abbiamo una forte sinergia, quando scrivo qualcosa lo faccio sempre in presenza di Aurora, perché conosco le sue tonalità, prese di fiato, acuti … I testi sono al di là della melodia. Partiamo da un argomento, aggiungiamo qualche rima, e poi in base alla melodia sostituiamo o adattiamo delle frasi, parole, ecc… Le tematiche sono piuttosto dure, spesso sono contro il sistema, ma non a livello politico. Preferisco non renderli troppo metaforici e incomprensibili.
Aurora: In realtà, nel lavoro che facciamo insieme, può anche accadere che si parta dall’ascolto del pezzo, in modo da sentirsi ispirati alla tematica. O anche il contrario, dipende.
Sarei molto curioso di conoscere la vostra opinione circa il panorama metal. Prima a livello partenopeo, poi fuori dalla città.
Aurora: Dipende, io credo che qui ci sia non solo molta faccia tosta, ma spesso anche poca tecnica. Io vedo questi gruppi giovani che stanno nascendo che non hanno idea di come si suoni lo strumento. In ambito partenopeo ci sono molte band che valgono, ma quelle sono persone che studiano la musica.
Fulvio: Non è una questione proprio di studio, a mio avviso, quanto di concezione della musica. Di mentalità. La distinzione tra un musicista vero e un…”musicante”. Ce ne sono tanti da entrambi i lati. Circa le organizzazioni di eventi, io preferisco non pronunciarmi.
Adriano: Parlando di quando abbiamo suonato fuori Napoli, mi ricordo un evento in particolare: suonammo in Sicilia, e sembrava una cosa fatta bene. Alloggio pagato, grande palco, sul lungomare … e invece, siamo arrivati là, abbiamo suonato tipo all’ 1:00 di notte, abbiamo suonato SETTE minuti! E mentre partiva l’intro del terzo pezzo, il presentatore è salito sul palco e ci ha interrotti … una cosa allucinante, il soundcheck non ce l’hanno fatto fare, ed eravamo là dalle 16:00..Bello il palco, però…Ma per chi lo vedeva da fuori! Da dentro era un’altra cosa. La batteria si trovava su una pedana con assi di legno mobili, non fissate, che praticamente si aprivano sotto il mio sediolino, e se uno dei piedi del sediolino finiva in uno di quei buchi, mi sarei capovolto, spaccato. Anche il rullante camminava, è stato un miracolo essere riusciti a suonare! *ride*
Suonando a Frosinone, nei pressi di Cassino, al Rock Star, invece, è stata un’altra cosa. Lì c’era clientela fissa, una buona accoglienza. Era un locale fatto bene. Con impianto professionale. Siamo stati bene dall’inizio alla fine.
Fabrizio: L’estero è un ambito che ci è molto caro. Con il nuovo disco, torneremo a cantare in inglese. Il segreto è il web, la pubblicità su social network come facebook. E’ inutile appoggiarci ad una casa discografica, perché neanche loro pare abbiano soldi, non investono, e quel poco che guadagnano, lo guadagnano addosso a noi che ci crediamo. L’autoproduzione è, a mio avviso, fondamentale. Se poi c’è qualcosa che interessa, dall’estero, bene. Ma dall’Italia, il trampolino dobbiamo crearcelo noi, perché nessuno te lo crea. Devi arrivare all’estero con un bagaglio bello pieno.
Avete in mente di progettare un tour per la promozione del vostro prossimo LP? Che progetti avete per il futuro?
Adriano: Siccome mi occupo io del web per gli Ephesar, ne ho parlato spesso con i ragazzi. Ho proposto di tirarci fuori da diversi eventi dei locali, che sono ormai inutili, per concentrarci sull’essenziale. Esistono dei mezzi web di promozione, a pagamento e non, e non è detto che debba iscriverti qualcuno del settore che a pagamento ti promette cose. Bisogna cercare, cercare, e cercare. Abbiamo preparato una serie di investimenti che faremo appena il disco sarà pronto, per una promozione internazionale. E’ lì che vogliamo focalizzarci: il nostro obiettivo principale, inizialmente, era la ricerca di una booking agency, una casa discografica, un produttore…ma ora basta. Se arrivano, ben vengano, ma adesso l’obiettivo è un altro: fare investimenti e determinati lavori per conto nostro.
Fabrizio: Il succo è che quello che vorremmo fare adesso è dare la priorità al prodotto, e dopo al live. Purtroppo, qua in Italia, il live è fine a se stesso. Noi non è che suoniamo per il gusto di farlo, noi suoniamo perché vorremmo che la musica fosse, non dico un mestiere, è un parolone, ma a me ad esempio piacerebbe sia vivere di musica, che vivere per la musica. Ti dico che i nostri live saranno pochi, qui in Italia, almeno durante la fase di produzione del nostro album. Ci stiamo appunto concentrando al 100% sul nostro prodotto. Non vogliamo presentarci in posti dove la gente ci guarda e dice: < chi sono questi?>. Vogliamo arrivare in posti dove la gente SA cosa sta per ascoltare, vogliamo creare un bagaglio che ci consente di partire dal punto 1, non dal punto 0, dove la gente dice: < questi chi sono? Che fanno? Da dove vengono?>. Devi arrivare al punto che la gente ti conosca già, quindi creare una rete di pubblicità, sapere che la gente ci ha ascoltato prima di vederci live, sa cosa stiamo per proporre. Quella del tour è sicuramente una cosa che sarebbe splendida, ma sarebbe anche un’esperienza fine a se stessa. Sì, vai a suonare all’estero, ma comunque vai in un posto dove NESSUNO ti conosce.
Adriano: Noi speriamo, prima di valutare o rinnegare proposte, di crearci un decente background. Ma è sbagliato, più che il fare, il pensare di fare il tour e dire: <siamo a cavallo!>. Non è per forza una grande mossa il fatto che qualcuno ti faccia suonare in Olanda, per non parlare del guadagno. Anche se spesso la passione ci porta anche dove non c’è guadagno.
Mille grazie del tempo dedicatoci! Io ed Italia di Metallo vi auguriamo un in bocca al lupo per il futuro!
Salutate pure come volete!
Fabrizio: Dovete fare il cazzo che vi pare, diffidate dalla gente che vi chiede soldi. Se dovete organizzare dei live, andate sul posto, parlate col fonico per capire se è un cane o se sa quello che fa!
Adriano: Io vorrei concludere con una frase che dico sempre: è un incoraggiamento alle persone di non vendersi o mettersi ad imitare. Bisogna essere esperti di ciò che si fa, ma bisogna avere un proprio stile. Bisogna identificarsi, non bisogna abbandonare completamente quello che uno ha dentro, perché la musica è arte. E’ business, è mercato, è vero, ma è anche arte. Avere uno stile non significa distinguersi dagli altri, secondo me, ma significa riconoscere se stessi. E BISOGNA avere stile, nella vita. In qualsiasi cosa, soprattutto nell’arte.
Intervista a cura di Francesco Longo