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Dark Metal Fest: Voices From The Soul
12 Maggio 2013
Ciampino (RM)
Un concerto che è tutto un programma. Voices From The Soul, un evento in cui quattro band hanno condiviso il palco di Stazione Birra, suonando a rotazione.
Praticamente la sottoscritta, rispetto al suo solito, è arrivata 'all'Alba', esattamente alle 18,00 'on the road' del pomeriggio, per intervistare i gruppi che hanno partecipato all'evento. Sempre con il metodo della rotazione sono saliti sul palco e hanno effettuato il checksound.
Ma partiamo dall'inizio. Si è trattata di una Dark Metal Fest al femminile, visto che le band avevano tutte quante una donna alla voce.
I primi a fare il loro ingresso sul palco sono i Lacrymosa, cover band degli Evanescence nata nel 2011 e formata da Romilda (vocals), Carlo (guitars e Backing Tracks), Valerio (Bass) e Nicolò (drums). La prima canzone che ci propongono è Tourniquet, sesto brano tratto dall'album Fallen, per poi via via andare a ripescare i successi che rappresentano più o meno la carrriera artistica del gruppo atlernative metal statunitense.
Dei Lacrymosa abbiamo ascoltato: Tourniquet, Bring me to Life, Going Under, Everybody's Fool, Call me When you're sober, Lost in Paradise, My Heart is broken.
E' la volta degli Adamanthya, una band capitolina di formazione abbastanza recente formata da Laura, Sandro, Alessandro, Fabrizio e Andrea. Fino al giorno prima dell'evento, si chiamavano Burning Tears of Glory: proprio in questa occasione hanno consacrato il suo primo live in questa nuova veste. Un genere che spazia in diverse sfaccettature del Symphonic Metal, dai testi intensi, sospesi tra lo storico e il fantasy, che narrano di vicende storiche. Musica interessante, sound decisamente elaborato e ben strutturato, compatto. Si parte da Fear: intro cupa, per poi sorprendere con giri di chitarre guidate dalla voce limpida e versatile di Laura. Ma non solo, si prosegue verso altre sperimentazioni, altri orizzonti tutti inseriti in Dedalus, brano molto convincente, forte, più duro, per poi proseguire con Die this way e un finale alla grandissima, un brano articolato, diviso in altre tre parti, dalla intro particolare, come si addice a una vera battaglia.
Degli Adamanthya abbiamo ascoltato: Fear, Dedalus, Die This Way, Walls of Jericho.
Gli Alchem invece sono un gruppo orientato verso un Alternative/Prog Metal. Tuttavia, vuoi per i testi, vuoi per il tipo di sound che scaturisce è imposbile etichettarli in un unico genere, perché ci sono molte influenze nei vari brani: dai King Crimson del primo periodo ai Katatonia. Costituiscono ognuno una storia a sé stante e formano un'alchimia di suoni, parole, emozioni. Sono formati da Annalisa (Vocals), Pierpaolo (guitars), Paolo (Bass) e Massimiliano (Drums).
The Black Agel of the Good inizia con riffs di chitarre intensi quanto arrabbiati. Un contrasto vincente, perché la voce leggera, eterea, di Annalisa stutturata in modo articolato che sviluppa e dona una personalità ancora più convincente nei passaggi. Si prosegue sempre con un ritmo a tratti con sonorità più ruvide, a tratti più patinate, che inoltrano l'acoltatore in un percorso, un cammino vero e proprio all'interno di un puzzle curato nei dettagli.
Degli Alchem abbiamo ascoltato: The Black Angel of the Good, Sweet Dancing Moon, Desdemona, Spitits of The Air, Whispering Clouds, Autumn Breeze, Little Scorpion.
E poi, tutto si chiude con i Fatal Cliché: un nome che la dice lunga su quello che poi ci hanno proposto. La cantante con il suo modo spigliato, schietto, diretto, e spregiudicato contribuisce non poco all'esecuzione dei brani. La band si è formata nel 2010, ed è composta attualmente da Eleonora (vocals), Gaetano e Tiziano alle chitarre, Chris al basso, Ludovica alle tastiere e Marco alla batteria.
Inizio che catapulta in una dimensione onirica, che si sviluppa in Fatal Cliché e Dark Way, grazie a riffs velocissimi di chitarre intervallati da pause, costituite da interessanti campionamenti synth. Si tratta di un insieme sonoro che prende spunto da un Symphonic Metal alla Nightwish, ma che prova a sperimentare, a cercare sonorità diverse, spaziare, ampliare e andare oltre. Una cover, degli 883, ma a sentirla, sembra più una burla ai cliché imposti da una società materialista postmoderna.
Dei Fatal Cliché abbiamo ascoltato: Intro, Fatal Cliché, Dark Way, Flaming Hearts, Free Styler, Flashback, Alegria (cover), Lost Lands, 883 (cover), Illusion.
Ilaria Degl'Innocenti
















































