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BLACK RAINBOWS
Eccoci ancora con una delle band della Heavy Psich Sounds Record, i Black Rainbows attivi ormai da più di un decennio e con diversi album alle spalle, molti dei quali recensiti su IDM (l’ultimo 'Pandaemonium' del 2018). Abbiamo quindi la possibilità di conoscere meglio il trio capitanato dal cantante/chitarrista Gabriele Fiori che ci ha raccontato un po’ di storia e di progetti del gruppo.
Ciao a tutti, grazie per l’intervista! Qui Gabriele Fiori, Black Rainbows.
Ciao Gabriele come prima cosa vorremmo sapere qualcosa di voi. Come vi siete formati e da che esperienza musicali venite?
Ci siamo formati nel 2007. Ho sempre avuto un ruolo primario nel progetto e ho cercato, dopo aver creato la giusta chimica, di entrare il prima possibile in studio per la registrazione del primo album. All’epoca eravamo entrati nella scuderia di un’etichetta francese il che ci aveva dato una bella spinta per continuare a credere nel progetto. Da sempre abbiamo suonato nell’ambito Heavy psichedelico / Stoner rock. Sono quindi 13 anni che siamo nel giro, malgrado qualche inevitabile cambio di line up abbiamo accumulato una bella esperienza, suonando centinaia di date, decine e decine di festival, 7 o 8 album più qualche split ep ecc. ecc.
Come definireste la vostra musica? C’è qualche fonte di ispirazione particolare?
Mi sembra abbastanza ovvia la componente Stoner heavy psichedelica space rock. Nel corso degli anni abbiamo pian piano aggiustato il tiro, abbiamo modificato un po’ lo stile. Gli album hanno matrici sonore diverse, alcuni più orientati alla psichedelia, altri allo Stoner vero e proprio, altri ancora decisamente più heavy rock. L’unica vera costante per i Black Rainbows è l’utilizzo dei fuzz per quel che riguarda i suoni di chitarra. Ispirazione... è chiaro che veniamo da tutto il rock anni 70, il proto metal del Black Sabbath, lo space rock degli Hawkwind e di tante altre band del genere. Inoltre abbiamo attinto molto dalla scena stoner anni ‘90 dei Kyuus, Fu Manchu, Nebula.
Come vedete la scena hard rock/metal? Si fa un gran parlare di “morte” del rock ma le grandi band continuano a riempire gli stadi (vedi il recente successo dell’annunciato tour Motley Crue/Def Leppard/Poison/Joan Jett). Anche in Italia è così?
Noi guardiamo molto meno al metal e magari un po’ più alla scena hard rock. Non so chi è che parla della morte del rock, negli ultimi 8,10 anni, col fiorire dei social media e quant’altro direi che c’è un ritorno di tutte le band storiche. Quello dei Motley Crue non è l’unico tour in programma, basta guardare il bill di festival come Wacken, Hell Fest e tanti altri. Ormai in giro per il mondo spuntano talmente tanti festival… manca solo l’Italia. In Italia manca una vera e propria scena… mancano i ricavi del music business, quelli che vengono dalle vendite di dischi e riviste, la gente va poco ai concerti. O meglio, non dico che non ci sia nulla, purtroppo è limitato al minimo indispensabile, per tenere vivo lo spirito del rock. Ed è a questa scena che anche noi partecipiamo. Certo i festival sono di tono minore, non c’è nulla di grandioso come capita all’estero e questo a discapito di band giovani che potrebbero contribuire a sviluppare e far crescere nuovo pubblico. Avendo partecipato a molti eventi all’estero ho notato un atteggiamento diverso: fuori si va ai concerti sul presto, si partecipa, si spendono soldi, cosa che non si fa in Italia.
Rispetto al passato le vendite discografiche sono calate drammaticamente a causa del download digitale. Come vedete questo fenomeno? Ha anche spazi di crescita per la scena underground a vostro parere?
Rispetto al passato certo il calo delle vendite è incredibile. Non credo però che sia a causa del download digitale che, a mio parere, può essere una risorsa preziosa. Quello che ha definitamente ucciso il mercato è più lo streaming digitale, perché le vendite digitali comunque un minimo compensavano. Chi comprava una copia digitale del disco a 8 euro eliminava i costi del fisico e quindi poteva permettersi di ampliare la collezione e provare a scoprire nuovi gruppi. Il costo era quello, tra gli 8 e i 10 euro, alla fine spendevi 1 euro a canzone. Il problema adesso è che puoi spendere 10euro al mese per avere tutta la discografia mondiale di tutti gli artisti nella piattaforma Spotify. Questo ha ucciso il mercato. Quel che salva l’underground sono le vendite del vinile che invece per fortuna sono. Il dramma vero è la caduta anzi il quasi esaurimento delle vendite di cd, questo te lo posso assicurare perché di lavoro ho un’etichetta e quindi… è così.
Le copertine dei vostri album sono delle vere e proprie opere d’arte. Volete raccontarci qualcosa in proposito?
Beh in generale tutta la scena psichedelica, psichedelic rock, stoner, doom e coniuga il messaggio musicale a quello visivo e anche noi, fin dall’inizio, abbiamo legato il nostro immaginario ad artisti che ci sembrassero sposarsi bene col nostro progetto... Negli anni ne abbiamo avuti molti, di diverse nazionalità, che hanno realizzato le copertine degli album e i poster. Io poi sono anche appassionato di merchandise, di grafiche e quant’altro... e di teschi soprattutto. Il tema skull ci piace tanto, tendiamo a riproporlo sempre. Per noi la grafica ed il lato visivo sono molto importanti e cerchiamo di presentarle al meglio nel nostro merchandise e sulle nostre copertine.
Siete attivi ormai da quasi un decennio. Pensate di aver raggiunto la piena maturità stilistica o c’è qualche territorio inesplorato nel sound dei Black Rainbows?
Noi abbiamo velleità, anche se cerchiamo sempre di cambiare un po’ il sound, come potrete sentire anche sul prossimo disco ('Cosmic Ritual Supertrip' la cui pubblicazione è prevista per il 22 maggio 2020, ndr). Soprattutto abbiamo cercato di migliorare a livello di produzione. E’ da un paio di dischi che abbiamo iniziato a lavorare in studi migliori con una squadra di professionisti: un produttore, un fonico che ci ha aiutato per i suoni. Devo dire che il risultato è molto buono e ha aiutato molto a definire lo stile della band. Il nostro desiderio è quello di continuare a lavorare, a tirare fuori cose magari non troppo distanti da quello che è il nostro seme iniziale ma sempre cercando di offrire qualche cosa di nuovo e di fresco. Smetteremo solo se e quando i nuovi brani non fossero all’altezza di essere pubblicati. In quel caso ce ne staremo buoni buoni a casa.
A proposito di stare a casa; una volta terminata l’emergenza sanitaria e la quarantena, avete date live in programma o altri progetti per promuovere la vostra musica?
Beh fino a che prima non ci fosse questa botta di virus avevamo in programma un bel tour europeo con molti festival interessanti in tutta Europa come facciamo da sempre, e c’erano parecchie date già pianificate. Purtroppo è saltato tutto e vedremo in futuro che cosa fare cercando sempre di portare in giro i nostri brani. Grazie mille per l’intervista, a presto e un abbraccione! (a distanza)
Intervista a cura di Alberto Trump