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We Rise

TrackList
1. We Rise
2. Time Lord
3. Between Heaven & Hell
4. Evil Dust
5. Shine Of Life
6. Dreamland
7. Don't Cry
8. End Of Time
NIGHTGLOW - We Rise
(2013 - logic(il)logic Records / Andromeda Dischi)voto: 7.5/10
Formatisi nel 2003 sotto il segno della passione per il metal anni ‘80, i Nightglow si sono fatti le ossa per 10 anni, nei quali si sono esibiti in Italia ed Europa ,sono divenuti la tribute-band italiana ufficiale dei Manowar e collaborato con artisti italiani ed internazionali tra cui Eric Martin (Mr. Big), Fabio Lione (Rhapsody of Fire, Vision Divine), Kiko Loureiro (Angra) e Kenny “Rhino” Earl (ex Manowar). Ed eccoli infine, dopo aver rinnovato la line-up , giungere alla pubblicazione del loro primo full length.
Vista la loro formazione, ci si addentra all’ ascolto di questo lavoro con l’ attesa di ritrovarvi niente di meno che un disco solido e potente, e già dalla prima traccia – la titletrack, “We rise” - si intuisce che non si resterà delusi: i lamenti di chi si ritrova sepolto vivo lasciano il posto al drumming potente della grancassa che sembra scandire il tempo di un cuore battente, arriva poi una strisciante linea di basso a creare atmosfere sulfuree e ad apparecchiare per un riff che potrebbe passare per Zakk Wyde ed i suoi Black Label Society. Il pezzo si snocciola poi combinando elementi diversi, da strutture che ricordano i Pantera ad incursioni power metal, con tanto di sinistre voci fuori campo. La sfuriata finale suona molto “Whiplash”, e ci lascia in bocca un retrogusto decisamente gradevole. Si prosegue poi con “Time lord”, un pezzo che si divide tra Helloween ed Hammerfall, e la successiva “Between heaven & hell”, dove su una ritmica martellante si disegnano trame dai toni epici, attraversate dalle rasoiate del duo alle chitarre. Si è a metà del disco e si penserebbe ad una tregua, invece si trova tutt’ altro: ecco “Evil dust”, dove un intro alla “The Demon’s Whip” omaggia il primo e mai sopito amore Manowar, per poi guidarci verso un frontale con un treno sui cui vagoni c’è marchiato a fuoco Testament, e proseguire come un interessante ibrido power-thrash. Arriva “Shine of life” e si ha la netta sensazione di star ascoltando Blaze Bayley nel suo progetto solista: potenza vocale, sezione ritmica monolitica e scalpelli a sei corde a scheggiarla. “Dream Land” è una miscela esplosiva di riffing in stile Annihilator e metrica alla Iron Maiden in salsa speed-power, scandita dalla prorompente voce di Daniele Abate, che ci accompagna sulle montagne russe fino al suo ghigno finale. Ecco,a questo punto, il pezzo che non ti aspetti: “Don’t cry”, una convergenza degli opposti dove a passaggi mutuati dai Metallica dell’ era “Load” si sovrappongono dei fulminei stacchi alla maniera dei Meshuggah, formando un brano che non convince quanto i precedenti. Infine giunge “End of time” a riportare il tutto nei binari consueti, con una base tra Testament e Megadeth intrecciata a refrain dalle tinte power confluendo poi in un acuto degno di Eric Adams, ed una cavalcata finale nel solco dei Maiden di “Powerslave” che va a dissolvenza verso una chiosa manowariana.
Cosa dire, dunque, di quest’ opera prima? Ciò che colpisce ad un primo ascolto è la maturità che si riscontra: la produzione è di qualità, lontana da quella acerba e scadente in stile garage-sessions di molte band agli esordi, e conferisce ai brani un tono fresco e nitido, senza per questo farli risultare “asettici”. Nel complesso si rende tributo a tutta un’epoca in modo encomiabile, attraverso architetture sonore possenti e complesse ma mai eccessive, impreziosite da una voce capace tanto di acuti quanto di potenza: se qualche nome noto del genere avesse posto il proprio logo su questo lavoro, non ci sarebbe stato davvero nulla da eccepire. Ma poiché nulla è perfetto, e tutto è perfettibile, concentriamoci su cosa invece si può migliorare: il limite del disco sta proprio nel suo essere figlio troppo riconoscibile di diversi padri, finendo per sembrare un complesso di firme che eclissano l’ individualità del gruppo. In sostanza, è chiaro da dove la band provenga e quali siano le sue influenze dominanti, ma non è semplice invece capire chi essa sia di per sé, la sua identità soggettiva, e soprattutto, con riguardo ad un genere che ha già espresso molto se non tutto, dove sia intenzionata ad andare. A tratti si ritrovano degli spunti innovativi, ma ancora troppo mimetizzati in una veste di amarcord, e da questi si potrebbe ripartire per marcare in modo più deciso le lettere del nome Nightglow.
Ciò detto,“We Rise” è notevole, e ci lascia comunque con una convinzione: è questo il tipo di “made in Italy” da tutelare, che non ha nulla da invidiare ai colleghi europei e non.
Francesco Celeste Farro



