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XXV
TrackList
01. Red Hot Gloves
02. Colossus Of Argil
03. Gates Of Hell
04. The Ambush
05. The Entity
06. Dark Quarterer
DARK QUARTERER - XXV
(2012 - My Graveyard Productions)voto: 8.5/10
Ciò che ho qui in sede di recensione e mi appresto a presentarvi, altri non è che una ristampa del primissimo disco omonimo dei Dark Quarterer, rilasciato nel lontano 1987, e qui denominato ‘XXV’. Il disco in questione, pregno di epicità allo stato puro, quando ancora l’epic metal era un genere che, oltre ai testi, aveva anche una struttura vera e propria a sé stante, il disco in questione, dicevo, conteneva una mezza dozzina di canzoni, belle lunghe, che probabilmente non brillavano per qualità di registrazione, ma riuscivano a fare finanche di quello un punto di forza, compensando con un effetto eco in voce e chitarra che ho sempre trovato molto calzante, con canzoni che ancora oggi trovo terribilmente esaltanti.
Ma muoviamoci con calma.
Per chi fosse nuovo e non conoscesse il gruppo, ecco qui alcuni cenni biografici: la band si forma a Piombino nel 1974, sotto il nome di Omega Erre, ma la prima release ufficiale, a livello di full length, avviene solo nel 1987, come già accennato, con l’omonimo ‘Dark Quarterer’, primo di cinque dischi totali, escludendo le demo, il live DVD, 'Under The Spell' e, appunto, riedizioni. Il disco salta all’occhio, stavo dicendo, per pezzi piuttosto complessi, adrenalinici, a tratti particolarmente incisivi, la voce molto acuta del singer e bassista, Gianni Nepi, e un lavoro chitarristico senza dubbio apprezzabile, dalle forti venature epic/progressive, mix di cui il gruppo è considerato principale pioniere.
A quarant’anni dalla nascita della band, dunque, i nostri, sotto l’etichetta My Graveyard Productions, ci propongono questa riedizione del loro primo lavoro, intitolata, appunto, ’XXV’, e rilasciata, in realtà, un paio di anni fa.
Bene, andiamo subito a cominciare.
Dal titolo molto heavy metal è l’opener, ‘Red Hot Gloves’, che si apre proponendo uno spezzone della Sonata Chiaro Di Luna di Beethoven, questa volta suonata al pianoforte ( rispetto alla primissima edizione, che invece vedeva la chitarra come strumento portante) , e che tosto ci permette di renderci conto dell’ottima qualità che contraddistingue il disco, e di come il sound sia rimasto ancora oggi bello potente ed incisivo, composto, in questa traccia, da una notabilissima vena heavy metal. Abbiamo, infatti, un lavoro chitarristico notevole, nonchè l’aggiunta di una tastiera (suonata da Francesco Longhi ) che pare amalgamarsi piuttosto bene con la canzone in questione, per un pezzo riuscito, che non si risparmia tecnicismi nelle sezioni d’assolo, e che rapidamente dà spazio alla seconda traccia, a mio avviso la migliore del disco, se non dell’intera carriera della band: ‘Colossus Of Argil’, canzone adrenalinica che mischia sapientemente la potenza e la tecnica, forte di una struttura complessa e che non lascia un attimo di respiro. Si sente, tuttavia, come il pezzo, in questa nuova veste, sia andato anche a perdere, nel guadagnarci: per chi fosse abituato, in effetti, alla qualità non altissima della prima release, alla voce potentissima, quasi disperata, che pare quasi stesse portandoci in guerra contro “Il mostro di neve”, agli effetti eco della voce belli pesanti, che facevano la loro bella figura, all’effetto complessivo, insomma, che rendeva questa bellissima traccia un pezzo Incisivo, con la I maiuscola, forse, e, sottolineo doverosamente, forse, potrebbe restare leggermente deluso da questa versione, ove purtroppo i limiti della voce ormai un po’ attempata si sentono, rivelandosi più “soft” e meno battagliera, un po’ come il trasporto generale nella canzone, sempre forte di un’esecuzione magistrale, immensa a livello strutturale, per carità, ma, se messa a confronto, forse meno esaltante. Il celeberrimo riff iniziale vede più improvvisazioni, mentre la tastiera si occupa di creare atmosfera in un pezzo già, a mio modesto avviso, molto ben realizzato di per sé. A tal proposito, è nuovamente la tastiera a far la differenza, in ‘Gates of Hell’, che apre la traccia con un organo certamente imponente e solenne, e che anticipa il “battito cardiaco” prodotto dalla batteria, portatrice di un ritmo lento ed un cantato più basso e malinconico, con tanto di sezioni in distorsione tra un verso e l’altro, concluso dagli inquietanti rintocchi di una campana...
E’ un ritmo molto più aggressivo, invece, a contraddistinguere la movimentata ‘The Ambush’, pezzo interamente strumentale dalle distorsioni più pesanti e le venature guerresche, sempre sopra i sei minuti, come si confà allo stile della band. Dotato di un ritmo evidentemente a metà tra l’epico e il progressive è poi ‘The Entity’, pezzo molto variegato che tocca svariate emozioni, a cominciare dall’intro malinconico e toccante nei vocalizzi, per poi passare ad una partitura più pesante, a tratti furiosa nell’incedere degli strumenti, per poi tornare ad un intermezzo più solenne, calmo, prolisso, ma certamente vario per come si pone, ove fa capolino anche il pianoforte, per poi concludersi con un tornado in distorsione che conclude il pezzo proprio sul più bello. E’, infine, l’omonima ‘Dark Quarterer’ a chiudere degnamente il sipario: altra traccia che sa certamente lasciare il segno, e che propone, classicamente ma con stile, un alternarsi iniziale di partiture più soft con altre in distorsione, che infine prendono il sopravvento, sostenute da un Nepi in buona forma, per una canzoni a tratti esaltante e che non fa sentire i suoi otto minuti di durata, che mi sono letteralmente volati davanti.
Tirando ora le somme… questo lavoro ha una serie di pro a suo vantaggio che vanno senza dubbio considerati: alludo al suo essere stato riregistrato con garbo e cura, al suo essere forte di aggiunte strumentali che spesso si sono rivelate trovate di gusto, ed ovviamente non posso non menzionare la qualità dei pezzi, che a ben ventisette anni di distanza sanno ancora colpire con decisione, ricreando le atmosfere cupe dell’omonima ‘Dark Quarterer’, oppure la potenza incarnata che si può ancora avvertire in ‘Colossus of Argil’, o, per menzionarne un’ultima, la varietà proposta in ‘The Entity’.
Certo, e non lo nego, tra la primissima edizione e l’attuale, io mi sento strettamente legato alla prima tra le due, che vanta, anche se direi che questa può essere vista più come una questione di gusti, un cantato più convincente (ma che non si pensi che l’esibizione del vocalist, in questo ‘XXV’, non lo sia, perché ci sbaglieremmo, ci tengo a precisare), nonché quel sapore di “fai da te” che qui è stato quasi completamente sostituito da un altrettanto buon lavoro di remixaggio.
Il mio consiglio, comunque, resta quello di darvi all’acquisto, e ciò vale sia per i nostalgici, sia per le nuove leve. Tristemente, i Dark Quarterer non godettero come si deve di ciò che seminarono, e questa riedizione può essere, sempre a discrezione dell’ascoltatore, una buona occasione per conoscerli e supportarli.
Francesco Longo