Più che in Emilia Romagna sembra di stare negli Stati Uniti già dopo le prime note del pezzo d'apertura e, inevitabilmente, mi tornano alla mente i Black Stone Cherry, dal Kentucky. I Rudyscave offrono un lavoro da ascoltare tutto d'un fiato, melodico, piacevole, trascinante. Un souther rock d'altri tempi, seppur con sfumature moderne e accattivanti.

La prima cosa che attira l'attenzione è la graffiante voce di Gian Maria Vannoni, che domina dall'inizio alla fine fondendosi perfettamente con il sound degli altri strumenti. Le chitarre di Marco Righi e Damiano Ponti passano da suoni puliti a distorti e vice versa, alternando assoli ruvidi e pungenti (vagamente old school) ad altri più attuali e contemporanei. La sessione ritmica non passa certo inosservata: Pasty e Carlo Galassi pestano sugli strumenti per farsi sentire, ottenendo il risultato desiderato.

I primi due pezzi 'Gale' e 'Offering' incalzano subito con un ritmo sostenuto, quasi a urlare “Eccoci, siamo qui!!!”. 'Monkey' colpisce per il suo sound nostalgico, con intro di chitarra pulita e degli effetti sulla voce che richiamano gli anni '60 e '70.

L'intro “spirituale” di 'Runlet' ci offre la ballata che ci si aspetta, ma non COME ci si aspetta: ci scaraventa letteralmente nel profondo sud americano.

'The Stone' ci riporta ai ritmi iniziali, ma con un sapore più moderno, mentre 'High Level Room' è degna di nota per il solo di chitarra acuto, pungente e graffiante. 'Levitare' ha un intro etereo e solo a metà del pezzo entra la batteria: da quel momento tutto acquista un suono più cupo e intrigante.

'Locis Pybe', 'Solution Solvent' e 'Precipitate' ci conducono senza noia al pezzo finale: 'Sublimate' un lavoro di chitarra e voce che fa esattamente ciò che il titolo dice...

Un album concreto, aggressivo e profondo che consiglio a tutti gli amanti del genere.

Christiane TNT