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Stellar Prophecy

TrackList
- Electrify
- Woman
- Golden Widow
- Evil Snake
- It's Time To Die
- Keep The Secret
- The Travel
BLACK RAINBOWS - Stellar Prophecy
(2016 - Heavy Psych Sounds)voto: 6/10
Quarta uscita discografica per il trio romano, sette nuove tracce a ribadire lo sconfinato amore che Gabriele Fiori e compagni - di nuovo on the road con il loro tour europeo - nutrono verso tutto ciò che di più heavy e psichedelico gli anni 70 abbiano partorito in America e Regno Unito, qui nuovamente miscelato e triturato con assoluta determinazione, padronanza dei mezzi e pure un po’ di sfacciataggine. Se il domani sembra non esistere, nemmeno l’oggi sembra passarsela bene, perchè a parte qualche sporadica incursione nel cosiddetto stoner rock (fenomeno innegabilmente anni 90, ma figlio bastardo di certi Black Sabbath, Stooges e Blue Cheer), i Black Rainbows annullano circa quarant’anni di musica e guardano nostalgicamente a quell’età dell’oro in cui il rock era fatto di riff, muscoli, sudore, assoli di chitarra e ancora riff a cascata.
L’ascolto del primo brano, "Electrify", promette poco di buono, con quella chitarra fuzz e quel canto sfrontato e monocorde che ricorda terribilmente gruppi come Nebula e Fu Manchu, quanto di peggio e scontato lo stoner, genere già di per sé cresciuto in condizioni di salute assai precaria, abbia mai prodotto. Noi però non ci fermiamo qui ma andiamo avanti, convinti e fiduciosi che qualcosa di positivo questo "Stellar Prophecy" abbia in serbo. E in effetti qualcosa c’è, che non va però cercato nelle energiche "Keep the Secret" o "Evil Snake", ennesime e ripetitive celebrazioni dei gloriosi Seventies, bensì nelle lunghe odissee spaziali di "The Travel" e "Golden Widow", brani percorsi da una tensione costante, che esplode a tratti in un caos sonoro generato da super nova e collisioni fra meteoriti. In particolare "The Travel", un po’ la loro "Asteroid", è un mantra guidato da un basso ipnotico, un canto che proviene da un pianeta sconosciuto e una chitarra che, nei momenti più intensi, sembra quasi aprire squarci fra galassie lontane. Un’altra orgia sfinente di riff e assoli spaziali puntella "Golden Widow", impreziosita in alcune sezioni da un delizioso e indovinato organo squisitamente retrò. Se il trio riesce davvero a mettersi in luce quando rallenta i tempi e suona space rock, una menzione speciale merita proprio l’apporto nient’affatto secondario delle tastiere, capaci di avvolgere in nebbie psichedeliche i lunghi sermoni di Gabriele Fiori, di imprimere una punta di interesse al rock maschio di "Keep the Secret" e di vivacizzare l’hard blues di "Woman", appena quanto basta per non farla suonare come una noiosa b-side dei Black Sabbath. Ulteriore conferma che gli arcobaleni neri diano il meglio nei brani di più ampio respiro è la voce avvolgente e sciamanica di Fiori, così fastidiosamente fumanchiana quando invece il suono vira verso lo stoner.
In conclusione, un disco che dal punto di vista qualitativo poco o nulla aggiunge alla discografia del trio, proponendo una quarta miscela di psichedelia, space e garage rock. I tre ragazzi comunque si divertono e sanno divertire. Per i fan non sarà certo una delusione.
Nero Tribici



