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Humanocide

TrackList
- The Breath Of A Psychotic Misfit
- Redemption Of Fear
- Malerie
- Sometimes I Need To Die
- The Constant Rhyme Of Perseverance
- A Compensation Of Souls
MALET GRACE - Humanocide
(2018 - Spider Rock Promotion)voto:
È con piacere che torno ad ascoltare la musica composta dai Malet Grace, il quartetto di Latina di cui vi ho parlato pochi mesi fa (qui la recensione del loro album di esordio “Malsanity”). A dire il vero al momento la band pare dimezzata, data la recente defezione della sezione ritmica, ma queste sei tracce fotografano una formazione ancora ben affiatata e operosa nell’inventare intrecci, variazioni e fughe strumentali interessanti all’interno di canzoni che, ora più che in passato, riescono a mantenere nonostante ciò un’identità, una fluidità e una cantabilità sorprendenti.
Ciò che salva il loro morbido Thrash Metal tecnico e progressivo dall’anonimato è infatti la capacità di costruire ritornelli e ganci che permettono un’immediata riconoscibilità della canzone anche dopo i primissimi ascolti, lasciando però alle orecchie più curiose ancora tanto da esplorare.
Una giustamente breve intro a base di chitarre armonizzate e tastiere ci conduce epicamente alla prima canzone, quella “Redemption Of Fear” che, oltre ad avermi ricordato per qualche motivo i miei adorati Hammers Of Misfortune, è il perfetto esempio di quanto detto sopra: riff melodici e dissonanti si susseguono con naturalezza, regalandoci un ritornellone tutto da cantare, quasi troppo frivolo per una band così seria!
Scherzi a parte, il mosaico di alternanze continua sulla successiva “Malerie”, che contiene elementi di power ballad, scatti di velocità, finestrelle acustiche e un chorus forse un po’ troppo melodrammatico ma efficace anche grazie alle armonie vocali, che i nostri non dimenticano mai di curare (bravi!).
Una ballata vera e propria l’abbiamo con la successiva “Sometimes I Need To Die” che, per quanto canonica, è cantata davvero col cuore in mano e gode di un’ottima dinamica.
Le chitarre elettriche di Alessandro Toselli e Giampaolo Polidoro, che è anche il cantante del gruppo, tornano sbizzarrirsi su “The Constant Rhyme Of Perseverance” (anche secondo voi a loro piace Chuck Schuldiner?), un brano dall’inizio esplosivo, epico ma a tratti caotico, che si caratterizza anche per i drastici rallentamenti e le drammatiche accelerazioni, soprattutto nella seconda parte.
Sarà l’effetto delle onde del mare che anticipano la conclusiva “A Compensation Of Souls”, ma a me l’essenziale orchestrazione di questa piccola canzone (una chitarra acustica e un filo di armonia vocale) ha dato un po’ l’idea di una schitarrata in spiaggia (sarà quella corda che “frigge” sull’arpeggio?). Abbastanza spiazzante da parte di un gruppo techno-prog!
Mi piace come il gruppo riesca a mettere la canzone davanti a tutto, prima dello sfoggio strumentale, almeno. Tuttavia ho come l’impressione che prima di tutto nascano i testi, che sembrano essere una forte urgenza comunicativa per chi li canta. Tematicamente prosegue l’esplorazione delle luci e delle ombre dell’animo umano (incominciata col disco precedente), che non è certo un tema originale, ma almeno è qualcosa di cui tutti possono avere esperienza.
A questo punto della recensione, però, non sarei corretto nei confronti di una band che rispetto se non sottolineassi il tarlo che mi ha roso le orecchie per tutta la durata dell’EP: la voce. Anzi, per essere più precisi, non è certo il timbro di Giampaolo ad infastidirmi e nemmeno le sue sentite e sincere performances: è la pronuncia dell’inglese. Per una band con legittime pretese di internazionalità potrebbe rivelarsi davvero un limite. Nei passaggi acustici, dove la voce è più impietosamente scoperta, siamo sull’orlo del grottesco. Eppure, proprio in virtù della passionalità con cui il frontman canta i propri testi, credo sarei l’ultimo a consigliare quell’allargamento della line-up che potrebbe far fare alla band il grande salto di qualità. Che fare? O cantare in italiano, o trovare un bravo vocal coach… oppure fottersene.
Due parole sul suono del disco, che presenta una produzione nitida, chiara, sottile, decisamente poco Metal, sotto certi aspetti, che se da un lato permette di comprendere ed apprezzare perfettamente ogni singolo strumento e arrangiamento, dall’altro manca di “pancia” e lascia valorizzata in primo piano la voce, purtroppo corredata dalla sua dizione amatoriale. Suoni di batteria stretti e chitarre non invadenti portano comunque ad un mix finale molto equilibrato, professionale, ben fatto e di piacevolissimo ascolto.
Credo proprio che i due chitarristi non avranno grossi problemi a trovare validi musicisti con cui continuare l’avventura dei Malet Grace, che sembrano avere messo a fuoco una proposta davvero accattivante.
Dimenticavo la copertina: una bella illustrazione digitale competitiva col mercato estero, ma fate qualcosa per quel logo! Ok, avete tolto le spine, ma non credo di essere l’unico a notare una gestione anarchica degli spazi tra le lettere e la forma ossimoricamente sgraziata della G di “grace”…
Marcello M.