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No One Will Shine Anymore
FORMALIST - No One Will Shine Anymore
(2018 - Third-I-Rex)voto:
La foto scelta come copertina di ‘No One Will Shine Anymore’ probabilmente l’avete già vista, come credo abbiate sentito parlare anche dei quattro ceffi che si celano dietro al nome Formalist, visto che non si tratta esattamente degli ultimi italiani arrivati a dare il proprio contributo a uno di quei rami di musica metal più estremi e, se vogliamo, disperati degli altri. La band piacentina vanta tra le proprie fila musicisti già membri di Malasangre, Viscera/// (dei quali ho avuto il piacere di recensire lo split realizzato con gli Abaton) e Forgotten Tomb. Nomi illustri all’interno del panorama italiano ed anche internazionale, che già fa intuire e presagire capacità, talento e professionalità. I Formalist sono attivi dal 2014 ed oggi siamo qui per scoprire qualcosa in più sul loro disco di debutto, uscito il 15 marzo scorso.
‘No One Will Shine Anymore’ consta di tre tracce soltanto ma, vi assicuro, l’oscurità che sprigionano è immensa e si protrae per ben 40 minuti, trascinando l’ascoltatore in un vortice di disperazione che, se solo durasse di più, potrebbe inghiottirci tutti. I generi cardine sono sludge, ambient/drone, doom e black, tutti fusi e mescolati con l’univo scopo di creare un muro di nichilismo e disperazione. Piccola spiegazione a proposito della copertina, qualora non dovesse risultarvi familiare: la ragazza ritratta è la sedicenne Brenda Annc Spencer, condannata all’ergastolo nel 1979 in seguito al massacro scolastico statunitense avvenuto alla Grover Cleveland Elementary School di San Diego, in cui uccise due persone e ferì otto bambini. Avrebbe in seguito dichiarato ai poliziotti “I don't like Mondays. This livens up the day”.
Il disco si apre con la cruda e caustica ‘Arson’, spezzata qui e là da splendidi momenti melodici e accompagnata dalla voce di Ferdinando Marchisio, le cui corde vocali vibrano a suon di disperazione e sofferenza. Basso, batteria e chitarra creano un tappeto sonoro con la consistenza del cemento armato, i riff portanti sono pochi ma presentano un discreto numero di piccole ma evidenti variazioni, che crescono con gli ascolti. La centrale ‘Foul’ è la più lunga del disco con i suoi oltre 16 minuti e un’intro iniziale piuttosto estesa, caratterizzata principalmente da atmosfere in gran parte soffuse e un cantato che diventa spesso parlato, un monologo disperato gridato a gran voce e seguito da un’eco che raddoppia il messaggio nichilista del brano. In ‘Mainlined’ i suoni si fanno più articolati e variegati e la voce si addolcisce sul finale, rendendo in qualche modo il doom il genere predominante sugli altri.
‘No One Will Shine Anymore’ è un lavoro ricco di fatalismo e rassegnazione espressi in maniera violenta; musicalmente parlando non avremmo potuto aspettarci niente di meno da un quartetto di questo calibro. È un disco che realmente ti spezza dentro e che conferma la qualità dei musicisti che lo hanno suonato e composto. Per carpirne tutte le sfumature è necessario più di un ascolto ma vi raccomando di prendervi il vostro tempo, perché è un veramente un mattone in piena faccia. Promosso? Sì, a pieni voti.
Elisa Mucciarelli