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Frammenti Di Oscurità

BARAD GULDUR - Frammenti Di Oscurità
(2019 - Autoprodotto)voto:
Non c’è bisogno di spingersi idealmente fino al fantastico universo fantasy di Arda per trovare un nutrito sottobosco di racconti e folklore, e il nome Baral Gardur sarà pure di tolkeniana influenza ma le vicende raccontate nei testi di questa band nostrana sono tutte ispirate a leggende del nord Italia e narrate a volte in italiano, a volte in dialetto. I nove – ebbene sì, nove - componenti della band provengono da Bergamo e ci propongono un folk metal oserei dire impegnato, accompagnato da cornamuse, ghironda e violino. Dico “impegnato” perché l’associazione folk metal = canzoni da sbronza all’osteria viene ancora abbastanza automatica a molti, mentre qui si parla di morte, re, dame e notti oscure.
La prima cosa che mi salta all’orecchio è che il volume della voce – o meglio, le voci, visto che a quella principale di Ivan si aggiungono qua e là quelle delle musiciste Elisa ed Alessandra - avrebbe bisogno di essere alzato di un paio di tacche, la seconda è che ‘Frammenti Di Oscurità’ si pone immediatamente come un lavoro assai ambizioso: il gruppo esiste dal 2015 e si è lanciato direttamente sul full-length, senza attraversare passaggi intermedi. Il risultato è indubbiamente interessante e presenta dei momenti particolarmente degni di nota, come ad esempio ‘La Gratacòrnia’, tutta a cappella – così come anche ‘Lodar I Lais Ben Laer Sul’ in chiusura -, o ‘POININOS’, che mi ricorda i ritmi ancestrali degli Heilung e di cui da una parte mi piacerebbe capire il testo per poterlo meglio contestualizzare, mentre dall’altra mi ripeto che il non capire una parola di bergamasco rende il tutto più mitico e misterioso e in fin dei conti male non è – del resto ebbi lo stesso problema con i veneti Kanseil.
Tra i miei brani preferiti cito senz’altro ‘Sarneghera’ e l’acustica ‘Nella Notte Più Nera’ di blindguardianiana memoria; per il resto ‘Frammenti Di Oscurità’ si rivela molto omogeneo, muovendosi tra momenti più folkloristici ed altri più vicini al death melodico, come per esempio ‘Senza Paura’ e ‘Canso De Bouye’.
Mi piacerebbe saperne un po’ di più sulle leggende raccontate dai Barad Guldur, giusto per soddisfare una mia curiosità personale; dal punto di vista musicale mi pare che il tipo di strada intrapresa sia chiara e anche la qualità del disco è alta – soprattutto considerando che si tratta di un’autoproduzione-, a partire dalla copertina. Alzate un pochettino il volume delle voci e poi ci siamo, ragazzi.
Elisa Mucciarelli