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Phlegethon

TrackList
- The Slide
- Timeshift Box
- Islands
- The Great Silence
- Lullaby For An Innocent
- Evasion
- Numb (Incipit, Climax & Coda)
- Washing Out Memories
- A New Life
- Lovocaine
- Fading Out Pt. III
- Phlegethon
KINGCROW - Phlegethon
(2010 - Scarlet Records)voto: 9/10
È ormai dal 1996 che i Kingcrow sono attivi sulle scene, e il loro nome è uno dei primi che ti viene in mente quando parli della scena progressive metal italiana. Non a caso ero ansioso di sentire cosa ci avrebbero proposto con 'Phlegethon', album nuovo di zecca che va a inserirsi come quarto full-lenght nella discografia della band. Dalle informazioni in mio possesso non sono in grado di dire se si tratti un concept come i due album che l'hanno preceduto o meno, per cui mi soffermerò sui lati prettamente musicali di quest'uscita.
Quando si parla di progressive a fare la differenza non è tanto la ricerca e l'inserimento di elementi poco comuni e non ancora sperimentati, quanto la capacità di amalgamare tra loro questi elementi andando a formare song di qualità che non risultino semplici sfoggi di tecnica fini a se stessi ma abbiano qualcosa in più da dire; e a quanto pare i Kingcrow riescono bene in questo intento.
L'ovvio termine di paragone in campo prog metal è costituito dai Dream Theater, indubbiamente richiamati a livello di sonorità (anche se le influenze non si fermano qua, e spaziano dai Queensryche, talora citati nelle fasi più metal, ai Pink Floyd, padri di un certo tipo di architetture psichedeliche più rockeggianti); ma rispetto al monocorde James LaBrie il singer Diego Marchesi appare ben più polimorfo e dimostra di non limitarsi alle tonalità più acute, arricchendo le song anche con voci ora filtrate, ora cupe, ora calde e rilassate. Quello che inoltre apprezzo è che la tastiera sa stare al proprio posto, conseguendo una posizione importante ove necessario ma limitandosi a creare atmosfera quando le sonorità sono maggiormente aggressive e dunque il ruolo dominante spetta alle chitarre.
L'etichetta “progressive metal” appare a conti fatti riduttiva quando si parla di un album come 'Phlegethon': l'unico brano in un certo qual modo inquadrato negli schemi è 'Fading Out pt.III'; numerosi sono i momenti che con il metal in senso stretto hanno ben poco da condividere, tra melodie orientaleggianti o folkeggianti e altri inserti decisamente atipici (sentire 'Island' o 'Lullaby For An Innocent' ad esempio). 'Evasion' strizza persino l'occhio a sonorità a metà tra l'elettronica e l'industrial, con un'apertura dominata dai sintetizzatori e uno svolgimento costantemente segnato da voci iper-filtrate. Il risultato è peraltro strabiliantemente positivo.
Molti brani poggiano le proprie fondamenta su un corretto utilizzo dei crescendo: non è raro incontrare un incipit melodico, solitamente impreziosito da una voce sofferta e ricca di pathos, che pian piano aumenta di intensità fino a sfociare in un tripudio di strumenti: è il caso di 'Washing Out Memories' o di 'A New Life', brano quest'ultimo che inizialmente richiama i Maiden di 'A Matter Of Life And Death', ma poi consegue una propria identità autonoma rivelandosi un ottimo episodio grazie anche ad un chorus decisamente azzeccato. Addirittura la complessa suite 'Numb (Incipit, Climax & Coda)', splendida nelle sue architetture e melodie, sembra una rivisitazione in chiave rock di un'opera per orchestra classica, tanto è elaborata, curata negli arrangiamenti ed evoluta nelle trame. Oltre a questo pezzo (circa otto minuti), solo un altra song ha una durata considerevole: la title-track, nonché brano conclusivo, 'Phlegethon'. Scelta vincente, questa, perché la durata non eccessiva dei brani snellisce l'ascolto del prodotto, evitando cosi di indurre nell'ascoltatore senso di ripetitività o noia (pecca che purtroppo affligge molti lavori nel panorama progressive). E i due brani che appunto “sforano” in durata dimostrano di meritare dal primo all'ultimo secondo lo spazio che gli è stato concesso: di 'Numb' ho già parlato; 'Phlegethon' spazia per tutta la sua durata tra voci sussurrate e momenti corali (e qua scatta il paragone- seppur azzardato- con una certa 'Suite Sister Mary'), per poi lasciare spazio ad una conclusione melodica ed atmosferica che mette la parola fine su questo album.
Arrivati a questo punto direi che le conclusioni sono chiarissime: i Kingcrow hanno sfornato un prodotto veramente ottimo, imprescindibile per i seguaci della scena prog metal italiana e di qualità indubbiamente superiore rispetto a tanti gruppi esteri tenuti in considerazione ben maggiore. Dategli un ascolto, non ve ne pentirete.
Francesco Salvatori