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Set Forever on Me

HATEFUL - Set Forever on Me
(2020 - Transcending Obscurity)voto:
Difficilmente quando si parla di “eccellenze italiane” si pensa alla musica, tanto meno al Death Metal. Eppure in questo piccolo settore il nostro paese offre prodotti di prim’ordine, competitivi con i più blasonati competitor internazionali sotto ogni punto di vista.
E i modenesi Hateful sono certamente tra i migliori esponenti di questa nicchia.
Forte di una determinazione ultraventennale, Daniele Lupidi (basso, voce e chitarra) ha traghettato assieme al fido Marcello Malagoli (batteria e voce) il gruppo verso uno status di credibilità e rispetto conquistati sul palco e in sala prove con tantissimo impegno e disciplinato lavoro, come emerge chiaramente anche sul nuovo “Set Forever On Me”.
Il trio, completato alla chitarra solista da Massimo Vezzani, persegue la propria visione di un Death Metal molto tecnico, personale e libero, dove la grande perizia è più una necessità espressiva che un vezzo estetico. Tratto caratteristico della scrittura di Daniele è un continuo fluire di frasi musicali alle quali non si fa in tempo ad affezionarsi (dato che difficilmente saranno riproposte nel corso del brano!) ma che evolvono con naturalezza in un continuo divenire, frantumando ogni schema strutturale ordinario col solo scopo di focalizzare la composizione come un’entità unica, coesa, organica, che non sia solo giustapposizione di riff. Così ci troviamo tra le orecchie brani anche molto brevi, ma estremamente densi di soluzioni e idee musicali. È il caso ad esempio della micidiale tripletta iniziale, capace di zittire ogni eventuale residuo scetticismo: “On the Brink of the Ravine”, “Oxygen Catastrophe” e “Phosphenes” contengono decine di riff e di trovate musicali intriganti, pur riuscendo ciascuna a mantenere un’identità specifica che le rende riconoscibili fin dai primi ascolti.
Oltre agli appassionati del genere, credo che chiunque possa apprezzare queste composizioni approcciandole semplicemente come musica impegnativa, stimolante, interessante, complessa, difficile ma non ostica, con un grande potenziale di riascolto. Un Death Metal realizzato da musicisti che sono prima di tutto appassionati ascoltatori… E non solo di Death Metal!
La produzione estremamente nitida e naturale discosta gli Hateful dalle proposte più moderne e pompate, restituendo una sensazione di forte autenticità ed evitando facili revivalismi. La linea di ogni strumento è perfettamente udibile (grande suono di basso!) e la ricchezza degli arrangiamenti studiati è così pienamente godibile.
Ma su questo terzo capitolo discografico c’è spazio anche per episodi più distesi, che si concedono qualche minuto in più per far risuonare tutto un mondo di armonizzazioni e fraseggi melodici che, come mai in passato, viene esplorato a fondo. È il caso ad esempio di “Our Gold Shined in Vain”, che nei suoi sei minuti include un’elaborata introduzione di basso che preannuncia il tema successivo e la consueta infilata di riff e fraseggi, questa volta vicini ad un Metal più tradizionale, che ci catapultano nel lento vortice della funerea conclusione.
In “River’s Breath” ho sentito reminiscenze Morbid Angel (ma anche Mercyful Fate!) coniugate magistralmente con la sezione più epica e melodica dell’intero album, per un brano che migliora di minuto in minuto e che spero possa rappresentare una direzione da seguire in futuro: una maggiore accessibilità che non compromette minimamente aggressività e complessità.
Forse in virtù dei molteplici e ripetuti ascolti dedicati ai Carcass, è curioso notare come venga dedicata un’attenzione tutta speciale agli epiloghi delle composizioni, che molto spesso presentano i riff migliori dell’intero brano, lasciando all’ascoltatore una sensazione di forte appagamento e il desiderio di schiacciare ancora il tasto play!
L’immaginario dei testi è coerente con la varietà dei temi musicali e affresca un paesaggio onirico angosciosamente realistico, dove passato e presente, personale e universale si impastano continuamente.
La conferma che tanta complessità sia motivata più da una generosità nei confronti dell’ascoltatore volenteroso che da una sterile autoindulgenza viene data dal piacere esponenziale che proverete man mano che i pezzi sedimenteranno nelle vostre orecchie.
La copertina e i disegni sono come sempre opera dello stesso Lupidi, che amplifica così il messaggio ribadendo immagini irrazionalmente catastrofiche e inquietanti. L’imperfezione nella geometria della sfera gigante che incombe su un brandello di città in rovina, sulle prime può dare fastidio, ma in realtà conferisce un tocco vintage molto coerente col contenuto del disco.
E a proposito di sfere… Il nuovo degli Hateful dura esattamente come il nuovo di Sfera Ebbasta, è solo un pochino più denso di contenuti musicali… Quale dei due volete provare ad imparare a memoria?
Marcello M