Ricerca
Contattaci
Per segnalare concerti o richiederci una recensione delle vostre band, scriveteci compilando il modulo in questa pagina
Accesso utente
Chi è on-line
The Pattern

TrackList
- Hiding lies
- Fall To Silence
- Violet
- Tragicomic Reality
- A friend
- Carousel
- A Lament
- Spoiled
- Alantidea Suite Part I
- The Unforgiven (Metallica cover)
- You Don't Know
OCEANA - The Pattern
(2020 - Time To Kill Records)voto:
In un mare di progetti musicali a nome Oceana, oggi peschiamo il terzetto romano naufragato nel lontano 1996 dopo un solo demo/ep, che approdano solo ora all’album di debutto! Una storia romantica, un sogno di adolescenza concretizzato da grandi, quando si hanno le capacità e le possibilità di concretizzare, anche se il fuoco dell’ardore giovanile è ora più una calma brace duratura che una volatile fiammata. E proprio così come, da grandi, ci troviamo a poterci permettere di riacquistare i cimeli della nostra infanzia e gioventù, i nostri approfittano dell’occasione per confezionare al meglio il proprio disco con una bella copertina ad opera del celebre Travis Smith e, soprattutto, con uno splendido mix realizzato da Dan Swano, personaggio mitologico per chiunque abbia iniziato ad ascoltare Metal negli anni 90.
Gli Oceana, sempre capitanati dal frontman tuttofare Massimiliano Pagliuso e guidati dalla grande batteria di Alessandro Marconcini, rivendicano fieramente le proprie radici anche scegliendo di riregistrare e includere in questo “The Pattern” tutte le canzoni scritte fin dal primo demo su cassetta, con solamente cinque inediti veri e propri. Probabilmente in questi venticinque anni non hanno composto granché (o meglio, si sono dedicati ad altri progetti: Novembre!), ma non li biasimo: quando una canzone è buona, lo è per sempre. E il loro EP del 1996, ascoltato ora, è dannatamente valido! A cominciare dalla copertina, così coraggiosamente diversa da tutto l’universo death-gothic-melodico che in quegli anni stava dando i suoi frutti in tutta Europa, arrivando soprattutto
alle canzoni, dotate di una forte identità melodica e stilistica (e di grande consapevolezza dello spirito di quel tempo!), che avrebbero meritato senza problemi un contratto con la Peaceville. Eppure qualcosa si deve essere perso nella trasposizione rimodernata e levigata di queste gemme impolverate e, dovendo giudicare il disco del 2020 al netto della componente emotivo/nostalgica e della simpatia che sempre mi lega ai musicisti miei coetanei, devo rilevare una serie di elementi che non mi hanno convinto del tutto.
Tutti i pregi e i problemi che ho riscontrato nel disco emergono fin dalla prima traccia, la riproposizione di “Hiding Lies”, il variegato e sorprendente brano che inaugurava anche i demo precedenti (c’è anche lo stesso sample di bambino che piange nell’intro!). I cambi di atmosfera, le accelerazioni, le aperture melodiche, le armonie… quelle ci sono tutte, ben bilanciate dinamicamente (troppo?) e ben riconoscibili anche se molto più “addomesticate”. Purtroppo la pecca maggiore è proprio la voce di Massimiliano. Non tanto nei cantati melodici, che anche se un pochino incerti sono spesso ben armonizzati e sempre dignitosi, ma quando tenta un approccio più aggressivo, con un vocione rude che però non vuole rinunciare al tentativo di intonare una nota: il risultato è un growl decisamente poco credibile e fortemente grottesco, perennemente stonato, un po’ come un Nick Holmes di “Icon”, ma con meno carisma. Questo difetto penalizza un po’ tutto ed è un vero peccato. Anche perché in un flusso sonoro tutto sommato abbastanza soffice e omogeneo (nonostante i meritevoli intenti vivacizzanti e proggheggianti qua e là) che sulla lunga distanza rischia pure effetti soporiferi (“A Lament”…), un cantato più incisivo avrebbe davvero giovato.
Le canzoni migliori mi sono sembrate proprio quelle più datate, forse anche in virtù dei riferimenti musicali esplicitati, come i Paradise Lost in “Violet”. Devo ammettere però che se non mi fossi lasciato incuriosire dall’ascolto delle versioni originali, che con i crudi limiti di una registrazione amatoriale restituivano tutti gli spigoli e i chiaroscuri, anche queste valide composizioni mi sarebbero sfuggite nel mare calmo che questo album evoca, come ciottoli troppo levigati. Mai veramente furiosi, gli Oceana suonano cadenzati, “mansueti” e morbidi anche nelle parti più veloci. La produzione equilibrata smussa e manteca poi il tutto e a volte si fa davvero fatica a mantenere desta l’attenzione, considerando anche l’inclinazione verso melodie vocali un poco cantilenanti. A tratti mi è sembrato un disco di out take degli Amorphis…
Uno dei brani più efficaci del gruppo era “Tragicomic Reality”, che con il suo approccio power pop, molto catchy nella struttura e negli arrangiamenti, avrebbe potuto fare sfracelli (nel ’96!) ma il ritornello monocorde e growlato non morde a dovere, non decolla e proprio non riesce a convincere, nemmeno con gli “Ho! Ho! Ho!” finali, che sembrano non avere il coraggio di essere coatti fino in fondo. Peccato. Mi ha ricordato vagamente, più per la sua “funzione” che per la sua forma, “Black Tears” degli Edge Of Sanity.
“A Friend” sembra un buono spunto che entusiasma subito, ma finisce prima di essere arrivato a compimento e lascia un po’ delusi, ma dato che è breve la si riascolta volentieri. Ancora Paradise Lost (ma anche Katatonia) per “Carousel”, che prova a dare un poco di movimento pur rimanendo lì, nella sua zona di conforto.
Mi ha colpito “Spoiled”, che se non ho capito male è un brano sul tormentato rapporto con la madre, davvero toccante. Ecco, qui credo che i ragazzi siano riusciti a convogliare con efficacia forma e sostanza, portandoci alla deriva in una nostalgia tenera e amara, ma anche ballabile e radiofonica. Non ne ho capita però l’appendice finale (era davvero necessaria?).
L’approccio a “Atlantidea Suite Part I” mi preoccupava un po’, sia per via dei suoi quattordici minuti, sia per la minacciosa allusione ad una futura “Part II”… E invece la lunga composizione, senza inutili intro, scorre che è un piacere, con tanti brevi momenti interessanti, coi quali si ha avuto l’intelligenza di non diluirli e trasformarli in brani autonomi, ma di incastonarli in questo mosaico dove quasi nulla viene ripetuto.
La suite in questione è un brano dall’indole melodica pop, dove con timidi accenni di blast beat, la batteria tenta di dirottare il pezzo su altri lidi.
La parte centrale (dopo il sesto minuto) regala i momenti migliori. O meglio, sarebbero tali nelle intenzioni, ma essendo affidati per lo più a Vocione…
Deludente il finale in fade out, che sembra un taglio casuale, senza che il discorso sia portato a compimento. Mi sa tanto che la “Part II” sarà necessaria.
Stupisce, ma fino ad un certo punto, la presenza di “The Unforgiven”. Cover decisamente azzeccata come atmosfera ma che a mio avviso fallisce: anche alle prese con un songwriting di qualità, i nostri faticano a gestire le dinamiche, quelle che credo essere gli elementi fondamentali del brano (il forte contrasto tra il pachidermico incedere delle strofe e la rude delicatezza dei ritornelli). La differenza di enfasi vocale è impietosa, ed è curiosa la scelta di valorizzare la linea melodica delle armonie a scapito di quella che ci è più familiare. Un poco squalificanti anche gli “Uouoh…” finali, che fanno tanto concertino nella palestra del liceo all’occupazione. Ma l’atmosfera generale è credibile.
Sono stato spiazzato dalla qualità compositiva di “You Don’t Know”, che chiude il disco. Venendo dopo una cover ho anche pensato che si trattasse di un altro brano scritto da altri e invece pare proprio che gli autori di questo efficacissimo pezzo siano proprio gli Oceana! Complimenti davvero, non sembrate neanche voi. Anche nel bel video sembra di vedere un’altra band, molto più alternaz-goth-pop di quanto non appaia in altri clip dove, Jackson puntute a tracolla, si propongono come gruppo metal.
Concludo segnalando che, se non sbaglio, il titolo del disco e l’approccio filosofico del gruppo fanno diretto riferimento agli studi di un certo professore pisano che mi è molto caro.
A parte le mie personali e trascurabili considerazioni, credo che sia stata una grande soddisfazione per i ragazzi sentire i propri pezzi suonare finalmente come li avevano sempre immaginati, dopo tutti questi anni. E per tutti è un’occasione per rivalutare storicamente i fermenti underground. Un altro piccolo prezioso archivio di storia del Metal italiano.



