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Per il Mio Nome

GERMANO DIENI - Per il Mio Nome
(2021 - Autoprodotto)voto:
Un cantante di estrazione metal che mette insieme un disco solista con l’aiuto di un amico musicista, programmandosi da sé basso e batteria: ecco, con una premessa del genere, capirete la scettica cautela con cui mi sono approcciato all’ascolto di questo “Per il mio Nome”.
Ma quando il cantante in questione è dotato di una grande voce e l’amico di turno è un musicista eccellente, tutto prende una piega decisamente migliore! Germano Dieni e Felipe Praino confermano la reciproca stima e, archiviato il progetto Aporia, tornano a collaborare assemblando una decina di canzoni che sembrano fatte apposta per mostrare tutte le sfumature stilistiche del cantante. Interessante notare come, nel farlo, riescano ad evitare una collezione di brani di genere diverso, ma ad inserire in parecchie canzoni momenti e sezioni stilisticamente inattesi e imprevedibili, rendendo il progetto decisamente più interessante.
Ho apprezzato molto l’intro “Prigionieri del Tempo”, ottenuta per sovrapposizione di vocalizzi dal sapore quasi sciamanico, che prepara alla title track. Quest’ultima esplode come un brano canonicamente power metal, innervato di melodia italiana e aperture enfatiche. Grande contrasto dinamico nella successiva “Contro il mio destino”, tra la strofa iniziale e i potenti ritornelli dove Germano può spingere come un pazzo, senza perdere di vista la facilità di presa delle melodie.
Un esempio dell’effetto spiazzante a cui accensavo poco fa lo troviamo nella strampalata “Il Grido”, che parte come canonico rock italico, poi propone una sorta di ritornello groove e una sorprendente incursione swing arricchita da un bel lavoro di armonie vocali… poi un bell’acuto, un riffone che tenta di ristabilire il coefficiente metallico e si torna alla strofa iniziale (in versione soft) per una chiusura rock standard.
Vorrei a questo punto accennare ai testi, tutti in italiano. Si avverte una forte esigenza espressiva, un desiderio di dire qualcosa: magari niente di particolarmente originale o intrigante, ma genuinamente sentito! E talmente urgente e necessario da essere spesso inserito a forza all’interno delle architetture musicali di Felipe Praino, come se Germano comprimesse o dilatasse le sillabe già scritte pur di dire ciò che vuole, anche a scapito (qualche volta) dell’effetto musicale. Questo dettaglio mi fa pensare più ad una collaborazione a distanza, tra i due, che ad una scrittura gomito a gomito.
La prima vera ballata è l’efficace “Ho paura di te”, che rispetta nel bene e nel male tutti i canoni da power ballad, forse solo per il gusto di poter inserire quel piccolo gesto di irriverenza finale, che in effetti arriva decisamente inatteso!
Decisamente più oscuro, minaccioso e atipico l’andamento di “Maschere Perfette”, dalla struttura eterogenea che ammicca al prog metal, con assoli di chitarra e tastiere che si intrecciano e un finale il cui potenziale pathos incendiario viene smorzato dalla rigidezza degli strumenti programmati, che non “crescono” insieme alla voce potente e ruggente di Germano.
Ecco, parliamo un po’ della cosa più importante di questo disco, la voce: oltre all’estensione molto ampia, colpisce il controllo melodico e dinamico, oltre al consapevole uso espressivo, quasi recitativo, con cui carica alcune frasi. Ho particolarmente apprezzato, ad esempio, il tono ironicamente pomposo con cui canta “speriamo nella pace nel mondo” su “Illusi” o l’istrionicità di “Musica Musica”.
“Ricordi” sembra veramente una pagina di introspezione squadernata al pubblico, con un’enfasi che sa di autentico.
Uno dei momenti chiave del disco è proprio la già citata “Illusi”, che su un arpeggio da manuale dipinge il manifesto ideologico del cantante, che culmina in una dichiarazioni di intenti (“voglio fare questo, voglio fare quello…”) tanto altisonante quanto improbabile, con quell’effetto “sopra le righe” un po’ da sigla di cartone animato. Un’altra canzone che mi colpito è la fin troppo autobiografica “Musica Musica”: se dopo le prime decine di secondi stavo per relegarla ad un generico rock staradaiolo e litfibeggiante, le continue sorprese di questa composizione mi hanno fatto ricredere alla grande! Nonostante il testo sanguigno e risentito non mi abbia convinto appieno, qui ho trovato alcune delle melodie più incisive dell’intero disco, oltre ad un esplosivo assolo di chitarra del sempre validissimo Praino, del quale vorrei rimarcare anche l’ottimo lavoro come produttore.
Le sorprese sonore continuano con la spiazzante introduzione folk di “Se ci fosse un Re”, che ci catapulta in un’atmosfera di qualche decennio fa, gonfiandosi pian piano per fare da robusta impalcatura ai vocalizzi acrobatici del Nostro, sempre ad alto tasso di melodrammatica epicità. La successiva sezione “groove world music” (non saprei come definirla altrimenti…) sembra un cetriolo su una torta, ma funziona benissimo, così come il finalino acustico.
La chiusura dell’album è un’ennesima versione dello storytelling personale di Germano, questa volta per soli piano e voce, che ricapitola un po’ tutto quello che ci ha detto di sé nei quaranta minuti precedenti. È abbastanza naturale aspettarsi questo tipo di narrativa un pochino ombelicale in un disco che si offre al pubblico come progetto solista di un uomo (Dieni non è certo un ragazzino) che ci mette la faccia e ci mette pure il nome (persino nel titolo!) e possiamo immaginare di ascoltare questo disco un po’ come se leggessimo un’autobiografia. Certo, un tantino romanzata…
Non fatevi fuorviare dalla copertina da cantautore belloccio: in questo album c’è tantissima musica, innegabile talento, un po’ di ingenuità e una camionata di passione!
Però mi raccomando: il prossimo fatelo con la sezione ritmica “vera”.
Marcello M