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Curse Of The Pharaoh

TrackList
- Intro
- Anachronism
- Djed
- Into the Crypt
- Sadness
- Nynu
- Apep
- Corporal Mortification
- Born to be Sacrificed
- Curse of the Pharaoh
- Arisen from the Ashes
HUMATOR - Curse Of The Pharaoh
(2022 - Time To Kill records)voto:
Formazione di decennale esperienza, gli Humator si presentano con un death metal moderno e serrato con un riffing le cui radici affondano nel thrash tecnico quanto nel death old school e nel brutal seminale dei Cannibal Corpse, spingendosi verso lidi che rasentano lo slam e il funeral doom nei possenti rallentamenti che amano contrapporre a sezioni caratterizzate da velocità esasperata e chirurgica. Rallentamenti caratterizzati a tratti da una muscolarità groove metal mentre le linee vocali, impostate su un growl robusto e declamatorio alternato ad uno scream lacerante, hanno un sapore ai limiti del death core di marca USA.
Le composizioni, in bilico tra una struttura classica “stop and go” del thrash metal e quel gusto per il “contrappunto di temi” e la giustapposizione di sezioni tipici del brutal/math core, sono improntate a una tensione costante, con i temi sviluppati in misura stretta a definire un’esperienza sequenziale e inarrestabile di brevi e gustosi momenti in cui si innestano momenti solistici old school che sovente assumono il ruolo di riff circolari estremamente tecnici ('Djed').
La produzione nitida e corposa rende il giusto spazio a tutti comparti, attualizzando un’ispirazione ed un gusto per il riffing saldamente “vecchia scuola”: esemplare in questo senso è 'Into The Crypt', in cui emergono armonie sabbatiane sia nel riff portante d’apertura che nei solismi. Lo sviluppo ci regala un pezzo death doom caratterizzato da un’atmosfera sulfurea e impreziosito da vocals tra le più ispirate del lotto. Ai solismi decisamente vecchia scuola si oppongono, nel roccioso mid tempo, delle fughe chitarristiche di matrice technical death intese a muovere un palm muting dall’andamento sepolcrale.
Se nei brani più aggressivi a tratti si può riconoscere l’influenza dei Nile, per il riffing serrato e tecnico, la breve traccia acustica 'Nynu' mi ha fatto pensare all’album solista di Karl Sanders (Saurian Meditation, 2004). Sarà la suggestione del titolo dell’album ('Curse Of The Pharoh'), che immediatamente mi ha fatto pensare sia ai Nile che agli Iron Maiden di 'Powerslave', ma gli Humator sono riusciti anche ad omaggiare le classiche twin guitar armonizzate ('Anacrhonism') aggiornandole ad un’impronta technical death ('Into the Crypt').
E per contro in 'Apep' e in 'Sadness' riescono a coniugare le suggestioni speed/thrash dei riff d’apertura a stacchi di marca Napalm Death (e suggestioni S.O.D) sostenendo il riffing con una sezione ritmica brutale e serrata, che sovente “mette il carico” portando il rullante in battere per degli up tempo ferocissimi. Come se i blast beat o le parti di doppia cassa non fossero già annichilenti.
'Corporal Mortification' coniuga un approccio in your face con riff “ignoranti” in palm muting sostenuti dall’alternanza tra d-beat esasperato e blast beat a fraseggi di chitarra in progressione con un accompagnamento di batteria spezzato che rilegge i tempi sincopati del prog in chiave brutal, interrompendo il d-beat con chiusure sul timpano. Si fa notare il funambolico giro di basso in chiusura, strumento che, se qui fa bella mostra di sé in modalità “a solo”, in realtà impone lungo tutta la release le proprie frequenze regalando una corposità particolare all’intera produzione.
In un songwriting con una tessitura così intensa da risultare quasi asfittica trovano (breve) spazio aperture ariose e stratificate ('Born to be Sacrificed') che dimostrano che la brutalità degli Humator non è una soluzione di ripiego ma la pervicace volontà di far male all’ascoltatore: pur declinato all’aggressione più estrema i nostri mostrano una padronanza enciclopedica delle diverse declinazioni del riffing chitarristico in campo estremo e non solo. Sfoggiando peraltro una tecnica solistica di rilievo, anche se i soli di chitarra sono destinati a sezioni compresse asservite alla creazione di temi che appartengono più alla famiglia del riffing death metal, con la classica combo di chitarra con tema a note su riff ritmico, che al “solismo narrativo” ('Curse of The Paraoh', 'Arisen from the Ashes').
Un lavoro questo degli Humator che esprime la volontà di mantenere nel solco di una schietta aggressività le capacità tecniche di un manipolo che potrebbe tranquillamente prodigarsi in un technical progressive death metal.
Se mi si passa il parallelo con le arti marziali, ai virtuosismi acrobatici di arti marziali esotiche (shaolin) o altamente spettacolarizzate (circuito k-one) gli Humator preferiscono invece la solida concretezza di un pugile navigato la cui tecnica è rendere invisibili colpi che arrivano a segno e fanno male.
Samaang Ruinees per italiadimetallo]