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Unbounded

DEFECHATE - Unbounded
(2022 - Great Dane records)voto:
Il primo impatto con i Defechate non è stato dei migliori, questo lo devo dire. La produzione mi ha lasciato francamente perplesso con la sua estrema separazione degli strumenti e la punta eccessiva della cassa che occupa in maniera ingombrante il centro del panorama stereo. La situazione migliora leggermente con l’ascolto in cuffia, che rivela anche un basso grasso e leggermente in saturazione, anche se continua a sentirsi l’assenza di glue tra i vari strumenti.
In particolare quando i nostri si attestano su soluzioni di riffing rarefatto su drumming sincopato ai limiti del jazz ('Unexpected Denier'), mentre i frangenti più tipicamente death metal con alternate picking serrato su tonalità gravi e drumming veloce risultano più coesi. C’è qualcosa anche sulle chitarre che non funziona a dovere, in particolare perché una delle caratteristiche del songwriting dei nostri è l’alternanza tra riff in toni gravi cui rispondono riff su tonalità alte e lancinanti esasperate (a tratti) da un’effettistica che vuole spostare l’effetto su lidi noise-industrial o che, per far risaltare le linee soliste ('Hyperammonaemic'), fa sballare completamente i volumi relativi degli strumenti.
Lo stesso gioco di contrappunto grave/acuto è espresso dalle linee vocali che alternano un growl rauco ma non gutturale ad uno scream che strizza l’occhio al pig squeal.
Superando, più per dovere di servizio che per piacere personale, i limiti di una produzione (alle mie orecchie) “sbagliata” che mi sembrava esaltasse i limiti di un brutal dal riffing fin troppo basilare, ho rintracciato nel corso degli ascolti l’intenzione e le coordinate stilistiche di un lavoro che sembra voler aprire una linea temporale alternativa nello sviluppo del death metal.
Si rintracciano nelle composizioni i riferimenti ad un proto-death che trova ispirazione tanto in un certo hardcore di matrice newyorkese ('Naked Thoughts', 'Repent to Be Dead') nelle soluzioni batteristiche associate all’uso di power chords grassi e bassi (ci ho sentito echi dei Carnivore era 'Retaliation'), quanto all’isteria texana dei D.R.I. e allo spirito grindcore dei primi Napalm Death ('Just Falling Leaves').
A tratti si rintracciano riferimenti ai Voivod era 'War And Pain/Rrroooaaarrr' ('Burning Like the Water') e non mancano brevi ma significativi inserti che tradiscono una certa arguzia (se non finezza) compositiva ('Unexpected Denier', 'Oxydized Man'), anche grazie all’uso di suggestioni di sinth ambient che aleggiano nelle (brevissime) intro ed outro, come se l’energia sprigionata nel brano lasciasse un alone prima di spegnersi. Come accade ne “Il Signore del Disordine”, unica del lotto con il testo in italiano.
Un impianto di apparente sostanza brutal-death viene quindi rivisto e rinnovato dai Defechate attraverso la contaminazione del riffing che, guardando al passato, riesce ad innovare il proprio lessico risultando in una formula efficace e personale. Formula di cui, presumo, fanno parte anche le scelte produttive dato che, come la storia del metal estremo insegna, certi “difetti” di produzione possono diventare il marchio di fabbrica di un sottogenere.
E se di questo lavoro è la ruvida asprezza ad imporsi all’ascolto, si possono rintracciare soluzioni gradevolmente annichilenti e una formazione preparata che non si preoccupa di lasciar crogiolare l’ascoltatore nella propria comfort zone.
Samaang Ruinees per italiadimetallo