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MMXXII

FEARYTALES - MMXXII
(2022 - Nadir Music)voto:
Lo confesso, avevo pensato di intitolare questa recensione “i Negramaro con il blast”… Ma poi avrei dovuto tentare di argomentare questa affermazione così approssimativa e stridente parlandovi di come il protagonismo vocale enfatico e un pochino sopra le righe di Marco Chiariglione mi avesse ricordato nella sua espressività esasperata e nelle liriche azzardate il giovane Sangiorgi, appoggiato su un riffing che richiama gli Arch Enemy meno arcigni e spinto da una batteria gustosamente estrema.
Beh, ho trovato davvero interessante la proposta dei quattro torinesi, anche se non mi ha convinto del tutto. Anzi, forse proprio per questo: mi hanno spiazzato.
Con il loro Metal (che negli ultimi anni novanta avrei definito molto moderno) dinamico, narrativo e un pochino teatrale, dimostrano di non essere dei ragazzini e di avere digerito abbastanza metallo da poterlo imbastardire con qualche spruzzatina alternative senza perdere credibilità.
Tra le cose che mi sono piaciute meno c’è proprio il cantato, che è però anche il loro punto di forza. Un po’ come quei robot di BattleBots dotati di un’arma potentissima che rischiano di autodanneggiarsi e mettersi k.o. da soli quando ne perdono il controllo. La grande voce di Chiariglione rischia a volte di risultare a traino della musica, sulla quale si spalma con scelte compositive di singole note insistite che impediscono alla melodia di spiccare il volo verso la memorabilità, mentre altre volte sembra più intenta a inseguire il testo, incastrandolo sui riff. Restano innegabili la personalità e il carisma, che nei momenti più riusciti ci consegnano canzoni che non lasciano certo indifferenti.
Il disco parte con “Supernova”, in cui un testo costruito per immagini, senza badare troppo al significato, riesce comunque ad evocare una sensazione apocalittica e accecante, cavalcando un thrash trascinante e melodico, con la voce che si sporca piacevolmente sugli arpeggi siderali e galleggianti del ritornello.
In seconda traccia, posizione solitamente destinata al singolo, abbiamo giustamente un brano di grande efficacia: “La Bestia del Cuore”. L’esplosiva introduzione lascia spazio ad un riff che ha il sapore di una danza folclorica tanto antica quanto contemporanea, irresistibile e avvincente. Questa volta le liriche riescono a coinvolgere e a mantenere viva l’attenzione lungo lo svolgersi variegato del pezzo, oscuro, istrionico, epico, con un finale ingolfato di parole disperate. Suggestivo.
“Ascension pt.1” passa alla lingua inglese e subito si ha una sensazione di maggiore ordinarietà, per una composizione senza infamia e senza lode, ben fatta ma del tutto trascurabile: power thrash con uno sfriccico di “modernità” vintage e una buona dinamica. Ecco, un altro elemento che inchioda i FearyTales all’anagrafe è il tentativo in stile “sessantenne su Facebook” con cui cercano di dare un piglio avanguardistico ai titoli dei brani, inserendo numeri, sigle e simboli. Così abbiamo “Lei2”, canzone dal testo pretenziosetto e ridondante che ci parla di una fanciulla dall’infanzia difficile che si sviluppa in un’oscura power ballad dalle atmosfere inquietanti ed solenni.
“OTIS” riprende velocità mixando melodia e growl, parti rarefatte e un campionario di riff che sembra voler rappresentare ogni sottogenere del Metal. Testo in italiano di nebulosa interpretazione… però c’è del sangue.
“Spire” prova la carta stoner/groove alla Zack Wylde de noantri, che dirotta poi su uno strano ritornello ipnotico decisamente più intrigante.
Se volete sentire “Ascension pt. 2” andatela a cercare nell’ep di tre anni fa, perché qui passiamo direttamente alla parte tre, nuovamente in inglese e automaticamente priva di quel potere magnetizzante che inevitabilmente hanno i testi in lingua madre. Composizione dal sapore più derivativo e meno maturo rispetto al resto del materiale.
“Air = Aria” propone riff staccati che abbiamo già sentito altre volte, ma anche progressioni in blast beat, assoli fulminanti e un prevedibile utilizzo di un cantato in due lingue.
In chiusura i nostri decidono di riproporre la vecchia “Culto Della Morte” e fanno decisamente bene, dato che è forse il loro pezzo migliore. Caratterizzata da un’ottima melodia di ritornello e di fraseggi chitarristici insistiti che ricordano dei My Dying Bride meno disperati, non sfigurerebbe nel repertorio di Manuel Agnelli.
Complimenti ai FearyTales per il loro tentativo nel cercare un nuovo senso all’Heavy Metal negli anni ‘20, lastricandosi la strada con i mattoni ottenuti smontando le vecchie architetture.
Marcello M