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A Modern Age Prometheus

TrackList
- Gaslight
- Doomsday Clock
- Zeitgeist
- A Modern Age Prometheus
FROGG - A Modern Age Prometheus
(2022 - Buil2kill Records )voto:
Tornano i Frogg con questo breve EP, dopo la tesina di diploma sul fregio di Beethoven di Klimt che costituiva il loro debutto di due anni fa. I cinque (ora quattro) giovani dalla faccia pulita, che sembrano appena usciti da un’università della Milano bene, hanno tutti gli strumenti tecnici per proporre al meglio la propria versione di un prog Metal contemporaneo, contaminato, radiofonico ma anche un pochino elitario.
Rispetto alle ingenuità del primo album, sono rimasto colpito fin da subito dalla nuova coesione, intensità e messa a fuoco con cui l’opener “Gaslight” ci impatta addosso: un suono pieno, coinvolgente, a tratti quasi emozionante, col brano che mantiene la tensione fino al ritornello. Eh già, i Frogg decidono di concederci un ritornello… Ed è la scelta migliore che potessero fare! Giustamente il brano è stato scelto come singolo e come videoclip, dato che risulta la cosa più convincente che abbiano prodotto finora: potente ma non aggressivo, catchy ma ricercato, musicalmente intrigante, leggermente prolisso. Stilisticamente sembra la quintessenza del materiale precedente, una sorta di estratto di Rana, il pezzo ideale per capire se il gruppo faccia per voi oppure no.
“Doomsday Clock” è più concisa ma anche più dispersiva, meno facile da seguire ma non priva di momenti interessanti, come l’attacco dopo il ritornello, con il giro sentito in precedenza che si ripropone in maniera coinvolgente e, proprio mentre sei lì che fai su e giù con la testa, viene sprofondato nel buco nero di un downtempo. Nonostante un grande lavoro di armonizzazioni vocali e vocalizzi acuti, il brano stenta a decollare e finisce, con lo stesso pianofortino finto con cui era iniziata, senza lasciare il segno.
Un breve ponte strumentale a base di delay, poche note inoffensive e qualche loop elettronico ci collega verso l’eponima conclusione dell’EP.
Non sono riuscito ad attribuire lo spocchiosetto parlato iniziale all’ntellettuale di riferimento, ma presumo sia un personaggio di un certo rilievo. Così come lo è la figura di Prometeo, sulla quale nei secoli sono state elaborate le teorie più svariate, rielaborando il mito del più famoso dei Titani a seconda delle esigenze dell’epoca. “A Modern Age Prometheus” era anche il sottotitolo del Frankenstein di Mary Shelley, confermando il forte appeal che questo mitico ribelle riscosse in pieno romanticismo.
La lunga title track, spiace dirlo, ma è il brano meno convincente, con il suo patchwork di frammenti tutti poco brillanti, cuciti insieme da un cantato che non riesce mai ad incantare veramente. Ecco temo che ancora una volta l’anello debole sia la voce: non certo perché Letizia Merlo non abbia un bel timbro o un’adeguata preparazione tecnica, quello che lascia perplessi è nel reparto compositivo, nell’incapacità di dare il protagonismo musicale ed emotivo di cui la frontwoman necessita. Apprezzabile il fatto che l’elemento che più caratterizza il pezzo sia ritmico e non melodico: il riff spezzato che fa da colonna vertebrale alla composizione ha una sua personalità.
Non per infierire, ma già che ci siamo mi sento in dovere di portare alla luce gli altri elementi che non mi hanno convinto: nessun riff degno di rilievo, nessun ritmo che ti resti in corpo, nessuna melodia indimenticabile. Tutti gli elementi proposti, pur nella loro innegabile validità e correttezza formale, hanno un che di derivativo, di standard, collaudato, istituzionalizzato. E questo, nel contesto di un progetto che fa della ricerca identitaria una priorità, è un tantino preoccupante.
Ed è un peccato, perché Federico Medana e Mattia Santobuono sono una sezione ritmica dalle grandissime potenzialità e si sente che scalpitano in continuazione per risultare interessanti, ma a mio avviso c’è bisogno di scrollarsi di dosso tutti quei manierismi, tanto rassicuranti quanto insipidi. Anche il grande lavoro chitarristico di Davide Silva sottintende una padronanza musicale notevole, che aspetta solo di essere convogliata in qualcosa di più iconico. Riconosco però ai ragazzi (che anche solo per il nome hanno tutta la mia simpatia) di essere riusciti a costruirsi un’identità, per quanto esplicita nei riferimenti, che possa far dire, nel bene o nel male: “È un pezzo alla Frogg!“ Ed è già un buon inizio.
È mia personalissima opinione che il gruppo possa dare il meglio di sé in canzoni concise, generose e nitide come il brano di apertura, rispetto a quando si avventura in lunghe complessità, così difficili (per chiunque!) da mantenere vive ed interessanti.
Aspettiamo con curiosità il prossimo album, che spero infarcito di singoli!
Marcello M