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6119 - Part I

TrackList
- Prologue
- Burning Horizon
- Dancing In The Desert
- What You Are
- The Last Tide
- Beautiful Mistake
- Innocence
- At The Gates Of Night Part I (The Old Poet) & II (At The Gates)
- At The Gates Of Night Part III (Lost In The Loop)
MindAheaD - 6119 - Part I
(2022 - Rockshots Records)voto:
Uh, è stato davvero difficile per me recensire questo disco. Già, perché per certi versi è decisamente inattaccabile: una produzione moderna, un po’ artificiosa, ma chiara e potente, musicisti eccellenti capaci di virtuosismi che non possono lasciare indifferente nessun individuo dotato di orecchie, un nuovo cantante uomo (Sandro Macelloni) che riscatta il gruppo dal grottesco tentativo di growl del disco di debutto e, soprattutto, una voce femminile dalla tecnica sensazionale, allenata ad ogni acrobazia, potenzialmente l’interprete perfetta per il variegato paesaggio sonoro del sestetto toscano.
Come avrete intuito, il progressive metal è il terreno di gioco dei MindAheaD, ed infatti ritroviamo nel loro “6119 part 1” (che in realtà è la “part 2” di una trilogia…) tutte le caratteristiche stilistiche del genere: l’intro che presenta il concept, la lunga suite, il brano finale in due (tre) parti e tutto quel repertorio che alle mie vecchie orecchie quarantaquattrenni suona “modern Metal”, ma che non è poi così distante da ciò che già facevano gli Eldritch 25 anni fa…
A mio avviso la voce di Kyo Calati è l’arma atomica in dotazione alla band, che però esplode loro in mano, sgretolando buona parte delle velleità di credibilità e coinvolgimento con interpretazioni un tantino eccessive e sopra le righe, lanciate in vocalizzi scolastici raramente al servizio di una melodia veramente vincente. Un esempio per tutti, l’uso troppo spesso artificioso e fuori luogo di quel “ringhietto soul”, imparato bene, ma forse non capito, che disinnesca i tentativi di passionale aggressività riducendoli ad esercizi di stile. Mi dispiace e mi mette a disagio sottolineare ciò, ma se lo faccio è proprio perché sono questi aspetti che impediscono all’ascoltatore quell’immersione, quella sospensione della realtà, che il gruppo con tanta fatica e tanto impegno cerca di ottenere, tratteggiando il proprio racconto con cura cinematografica.
Entrando più nello specifico del disco, ho apprezzato i glitch che spezzano la prevedibilità tipica delle intro, ma soprattutto “Burning Horizon”, la canzone di apertura, che ci regala le melodie più memorabili dell’intero album, un equilibrato avvicendarsi dei due cantanti e un brano dalla struttura piacevolmente canonica.
Per le parti narrate è stato scelto di utilizzare l’italiano (mentre le canzoni sono in inglese) quindi per noi ascoltatori è molto facile venire in contatto con il mondo di '6119', di cui non sappiamo se sia un uomo, una macchina, un software o altro, sappiamo solo che è un viaggiatore che, novello Pollicino, dovrà “seguire le briciole” (sic!) verso non si sa bene cosa.
Per metterci subito alla prova, i MindAheaD staccano come secondo pezzo una composizione di diciassette minuti che, devo dire, sembra un tantino pretestuosa. Una lenta introduzione atmosferica, un riffing possente alla Vicious Rumors, poi parti vocali armonizzate e accattivanti in una sorta di ritornello, stacchetti a profusione, fraseggi su scale diminuite eseguiti a velocità folle e poi ancora tutta una serie di elementi che sarebbe inutile stare ad elencare sterilmente: vi basti sapere che c’è davvero tanta roba (molta davvero ben fatta!) ma che alla fine dell’ascolto difficilmente vi troverete veramente sazi e appagati. E dato che potrei estendere questa considerazione all’intero disco, desidero approfondire la questione. Cosa rende una musica in grado di entrare nella nostra mente e restare impressa nei cuori e nell’immaginario, fino a diventare un classico, magari addirittura condiviso come tale da un vasto pubblico? Ognuno di noi avrà la propria risposta. Io credo abbia a che fare con la consapevolezza di quello che si sta facendo. Che è una cosa diversa dalla capacità. E, personalmente, credo che sebbene la band abbia un’ottima “preparazione atletica”, non sia ancora matura per lasciare un segno indelebile. Come la stragrande maggioranza dei gruppi, a dirla tutta. E quindi? Cosa ne facciamo di tutte le valide intuizioni che si affacciano tra queste tracce? Le scartiamo in quanto non all’altezza dei grandi nomi del passato? No, io credo sia il caso di tenercele strette, afferrare quei momenti di luce e godere di quel passaggio intrigante che sì, probabilmente dimenticheremo un istante dopo, ma che durante l’ascolto ci ha dato un brivido, ci ha strappato un cenno di consenso, ci ha fatto fare su e giù con la testa e con il piedino. Sembra quasi un controsenso invitare ad un ascolto “leggero” un’opera così densa, ma se applicassi il mio consueto approccio analitico non riuscirei a godermi quasi nulla. E questo sestetto è fin troppo generoso nell’offrirsi, per rifiutarlo in toto: sarebbe scortese. E quindi non starò qui a lamentarmi di un pretenzioso polpettone complicato e indigesto, vi parlerò invece dei momenti belli, delle piccole grandi perle che ho trovato in quasi ogni brano.
Come il ritornello arioso di “What You Are”, che si trasforma in un finale groove super heavy… O l’atmosfera “desertica” e assolata che mai mi sarei aspettato da un concept “cibernetico”. O il clima da duetto da musical Disney di “The Last Tide” e “At The Gates Of Night part I”. L’inizio di “Beautiful Mistake” cattura subito l’attenzione ed è difficile non rimanere trascinati nella ritmica serratissima delle strofe, accogliere con entusiasmo quella cafonata del “Go!” prima del ritornello in doppia cassa sparata e tutti i ricami che il batterista Matteo Ferrigno si è divertito a distribuire. Molto gustose anche le parti strumentali farcite di assoli che collegano la “part I” alla “part II” della già citata “At The Gates Of Night”, che culmina con un affastellamento di cori magniloquente, con vocalizzi a profusione… Termina il disco la “Part III”, una strumentale di chitarre acustiche e archi sintetici che sfuma nella narrazione conclusiva, che ci invita a proseguire nel seguire briciole ed aprire porte.
Un disco che trasuda qualità, capacità e ore di lavoro, ma che non mi carica di entusiasmo all’idea di tuffarmi nel capitolo successivo di '6119'.
Marcello M