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SILENCE IS SPOKEN - 11
(2022 - Wormholedeath Records)voto:
Nel significato della numerologia il doppio uno è strettamente legato ad una concezione di alta spiritualità, sintetizza e simboleggia un approccio esoterico alla saggezza, all'intuizione e ad una indicazione nel cercare di trovare una sorta di equilibrio fra corpo e mente.
La band fiorentina, formatisi a Londra ma con sede operativa nel capoluogo toscano, ha tentato, secondo me, in questi otto pezzi, di percorrere una personale introspezione, come moderni Castaneda, di inseguire la parte oscura, di sperimentare il viaggio lisergico entro i confini del non conosciuto, tesi tutti insieme alla perenne ricerca del Nagual. Attraverso le valli color pastello, visione distorta dal caleidoscopio di Gilliam, sotto il sole cocente, arriverete a distese per voi inimmaginabili e vi risuonerà nelle orecchie, come una eco infinita, la voce del cantante, Samuele Camiciottoli, che insieme alla linea ipnotica ed effettata del basso del membro fondatore Curradi, vi farà barcollare sotto il ritmo querelante, incessante e decadente della lunga ed onirica "Mud Bones Worms". Questa song è degno seguito della precedente, ma non vi voglio rovinare l'ascolto.
In generale le parti meno violente risultano estremamente interessanti, efficaci e più coinvolgenti, sebbene la chitarra di Maurizio D'Ario e le pelli di Lorenzo Panchetti non risultino mai invadenti: il sound, in special modo nelle parti distorte appunto, rimanda sì ad un periodo definito già da esperti titolati (non certo come il sottoscritto) come Post Grunge, ma secondo me si possono percepire, dopo un ascolto più attento e misurato delle tracce, delle vaghe somiglianze ai riff di Janne Christoffersson dei Grand Magus, a volte ci si avvicina alle distorsioni di Donegan dei Disturbed e generalmente aleggia il vento inglese dei Bush.
Ho ascoltato questo cd diverse volte, da cima a fondo e viceversa, e la conclusiva "Genesi 19_24" ("affrettati, scampa colà, poichè io non posso far nulla finchè tu vi sia giunto") rimane la parte più alta, universalmente, esteticamente ed emozionalmente travolgente: il viaggio forse finisce, l'andatura serrata inziale scandisce i nostri passi, il fiato corto della corsa, perchè in un qualche "colà" bisogna pur giungere per afferrare se non altro quello che potrebbe rivelarsi anche soltanto una effimera utopia; e piano piano ecco disvelarsi l'orizzonte solcato dal delicato arpeggio del nostro D'Ario e maestosamente commentato dalle piattate del Panchetti, come a voler fermare l'attimo entro una eterna narrazione. E magicamente, con un coup de theatre, la voce si fa prepotente, impetuosa, quasi minacciosa, ergendosi a monito imperituro. Ma il lieto fine è dietro alle porte e la chitarra in loop lascia lo spazio al piano, suono soave a momenti angelico, che ci allieta, ci dice di stare calmi e quieti, noi fieri paladini del queita non movere et mota quietare: il nostro peregrinare è giunto al punto di arrivo; riposiamo quindi, fermiamo le nostre membra stanche.
Leonardo Tomei