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Leviathan of Rot

TrackList
- Decaying Ecosystem
- Tainted
- New World Orgy
- Defy the Plague
- Death Lord
- Feed the Dark
- Burning Star
- Anthropocynical
- Leviathan of Rot
- Sentence in Exile
DEFYING PLAGUE - Leviathan of Rot
(2022 - AD NOCTEM Records)voto:
I Defying Plague esistono da un anno e mezzo e “Leviathan of Rot” è il loro debutto, anche se i quattro lombardi non sembrano proprio di primo pelo. Nonostante la brevissima vita del progetto, ci tengono a farci sapere nella biografia che la lineup del disco si è assestata solo dopo parecchi cambi; inoltre, leggo ora sulla loro pagina Facebook, che attualmente la band ha arruolato un secondo chitarrista e cambiato cantante. Insomma, l’importante è partire con le idee chiare…
E probabilmente è proprio in virtù di una definita determinazione che il gruppo sta rapidamente prendendo la sua forma più adatta: in circa un anno i Defying Plague hanno realizzato un album, due videoclip (dalle view un pochino gonfiate…) e svariati concerti, con la chiara intenzione di ritagliarsi un posticino nell’affollato panorama Death Metal contemporaneo.
Per farlo, scelgono una formula old school per quanto riguarda il riffing, ma moderna dal punto di vita dei suoni, con la batteria sobria e lineare di Elena Ferla a caratterizzare fortemente l’ossatura dei brani con la sua precisa semplicità.
Se da un lato abbiamo fraseggi che riecheggiano le vecchie glorie europee e americane degli anni novanta (io ad esempio sento sapore di Deicide rallentati), dall’altro devo constatare per l’ennesima volta che la scelta di applicare alla batteria campioni ed editing toglie tutta quella furia selvaggia che ci fece innamorare del genere, disinnescando buona parte del potenziale esplosivo dei pezzi.
Ho cominciato i miei ascolti con il lyric video di “Defy The Plague”. Il testo sembra scritto da un adolescente sul banco della prima superiore mentre la prof sta spiegando, tali sono la linearità e la superficialità dei concetti espressi, eppure proprio questa ingenua semplicità conferisce al brano una capacità di presa immediata, che nel Death Metal è stata abbandonata da tempo a favore di tecnicismi che destrutturano la forma canzone. Qui invece ci possiamo trovare addirittura a cantare il ritornello! Non mi sarebbe affatto dispiaciuto ascoltare altri episodi simili all’interno del disco. Peccato giusto per il fadeout un po’ brutale.
Filippo Collero alla voce offre una prestazione professionale, col suo growl un po’ monotono, ma consistente e stratificato.
Inaugura l’album “Decaying Ecosystem”, priva di quella capacità di presa immediata che ci si aspetterebbe da un’opener e che sembra non raggiungere mai un apice emotivo/compositivo.
“Tainted” risulta invece coinvolgente, e coi suoi pochi ma efficaci riff e la sua alternanza tra strofa tirata e ritornello dilatato è uno dei migliori episodi del disco.
Molto gradita la presenza del basso all’interno del mix, che resta perfettamente udibile, esplicitando il suo contributo fondamentale agli arrangiamenti.
“New World Orgy” ha un taglio più contemporaneo, anche se dà il meglio di sé sui riff veloci e articolati vecchia scuola, rispetto a quelli più moderneggianti.
Poi abbiamo le un po’ insipide “Death Lord” e “Feed The Dark”, seguite da una più concitata “Burning Star” e una “Anthropocynical” abbastanza groovy.
Le canzoni sono un susseguirsi di riff tutti molto simili tra loro, spesso anche come tonalità e del tutto intercambiabili tra un brano e l’altro: provando a saltare con il player da un punto casuale ad un altro all’interno del disco saremo confortati da una sensazione di continuità e omogeneità. Gli assoli sono pacati, meditati, puliti, freddi, avari di note e poco coinvolti, come se volessero mantenere un certo superiore distacco dal contesto Death Metal.
Nemmeno la title track riesce a spiccare, confondendosi nel marasma e senza regalarci momenti veramente memorabili.
Interessante il pezzo che chiude il disco, “Sentence in Exile”, che in un’ipoteca esecuzione dal vivo immagino possa avere un buon respiro grazie alle ritmiche stop’n’go, all’andamento cadenzato e avvincente ed alla personalità dei riff.
Ci ho pensato. Mi sembra un disco realizzato senza un reale entusiasmo. È una cosa brutta da dire? Non so, ma da ascoltatore, fatico a trovare momenti in cui cogliere, da parte dei musicisti, la soddisfazione di aver fatto qualcosa di grande, di bello. Sono solo mie sensazioni personali.
Ma di cosa è fatta, in fondo, la musica?
Si fa un gran parlare ultimamente di software di intelligenza artificiale in grado di generare musica di ogni tipo. Ecco, non mi stupirebbe se il risultato di uno di questi esperimenti suonasse simile a “Leviathan of Rot”, talmente è limitata la componente di imprevedibilità ed emotività umana in queste tracce.
Io dal Metal mi aspetto il fuoco!
Marcello M