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Weaver of Forgotten

DARK LUNACY - Weaver of Forgotten
(2010 - Fuel Records/ Self Distribuzioni)voto: 9.5/10
Sono passati, oramai, cinque lunghissimi anni dalla pubblicazione di The Diarist, penultimo lavoro discografico dei Dark Lunacy, concept album riguardante i novecento giorni d’assedio compiuti a Leningrado, nell’orrendo scorrere della Seconda Guerra Mondiale, per mano dell’Esercito Nazista. The Diarist rappresenta l’opera della maturità, in esso, rabbia, melodrammaticità, melodia e sinfonismo, di chiara matrice popolare russa, si fondono in un sincretismo d’ineffabile bellezza. L’album in questione rappresenta, nell’esistenza della band, successo e popolarità, difatti, sono numerose le manifestazioni nazionali e internazionali che accolgono la band, basti pensare ai concerti tenuti in Tunisia, Russia e Messico.
È il momento della svolta, l’attimo di oltrepassare il confine di mero moniker di culto, e raccogliere, in termini di vendita e di successo, quanto seminato con gran sacrificio nei primi e difficoltosi anni artistici; ma qualcosa, succede in seno alla band, i membri storici al cospetto di un salto di qualità, paradossalmente implodono. In breve il combo è al capolinea della propria esistenza, e le sorti del futuro rimangono al volere di Mike Lunacy (vocalist).
Proseguire, osare, guardare innanzi o estinguere quest’originale creatura artistica?
Arriva un nuovo corso.
Anno 2010 arriva un annuncio sconvolgente, i Dark Lunacy hanno rivoluzionato la propria essenza, nel corpo della band sono accolti, a pieno titolo: Andy (Sadist), Alessandro e Daniele (Infernal Poetry) e il poliedrico Claudio Cinquegrana. Sul finire del 2010 esce e fa capolino sul mercato discografico, il quarto full-lenght dei Dark Lunacy, "Weaver of Forgotten", anch’esso come il precedente, un concept, questa volta ispirato alla memoria dei defunti, cioè di tutte quegli esseri umani, che non facendo più parte del nostro materico mondo, continuano ad esistere metafisicamente, nei propri inaccessibili ricordi, poiché, vorremmo, con tutto il cuore, che fossero fisicamente accanto a noi. Weaver….è un disco che vira profondamente su molti punti di vista. Se pur la tragicità rimane parte integrante ed essenziale del modus, qui non vi ritroviamo: né l’uso ossessivo del quartetto d’archi, secondo schemi d’età barocca, che avevano reso memorabili Devoid e Forget me Not, né riascoltiamo arrangiamenti ed evasioni contrappuntistiche su corali e strumentali, attinti esplicitamente dalla cultura russa (ricordando The Diarist). Inoltre, lo stile vocale è notevolmente cambiato, se pur le vocals di Mike siano epiche, drammaticamente teatralizzate e ferali, in Weaver……si arricchiscono di nuove sfumature, ascoltiamo un growl che in diversi episodi conclude se stesso in uno screm, nel mentre la band si esprime in territori linguistico- musicali al confine con il black-metal, inoltre, rendo evidente un uso delle clean-vocals, certamente meno profonde e rancorose, rispetto al passato, ma più leggiadre, espressive e orecchiabili.
Esplorando l’opera.
L’album si apre con "Epitaph" una struggente introduzione strumentale, basata su di un arpeggio pianistico, su cui un violino, disegna una melanconica melodia, di seguito alcuni colpi di charleston danno il via ad "Archangel’sk", brano cadenzato, in cui un accurato e adagiato intreccio di archi, tastiere e piano, disegnano, assieme, un brano dalla forte componente romantica, prima di concludersi nell'esplosiva rabbia finale. È la volta della distensiva "Curtains", ottimo brano, introdotto e accompagnato, in tutto il metro, da un violino che rimanda a territori e fervori nordici. A seguire "Epiclesis", traccia che a mio parere incarna l’essenza dei rinnovati Lunacy, difatti, un mind-tempo circolare, sostiene un brano originale e moderno, in cui la sorprendete novità è la vocalità di Mike alle prese con delle clean-vocals pacate e leggere, dal colore e timbro davvero particolare. Con "Masquerade" entriamo in territori un tantino più riflessivi, la vocalità quasi a declamare una preghiera, alterna stati di profonda inquietudine, su di una complessa e orchestrata partitura, che fa capolino e si dipana su di un death-metal, che tende al progressivo. "Afraid", è anch’esso un brano costruito su di un'intelaiatura violinistica, qui il drammatic-death-metal dei Lunacy si carica di pathos sempre più con il proseguire dell’esecuzione; discorso simile va fatto per la successiva e superlativa "Mood", in cui l’umore struggente è quasi tangibile.
"Sybir" è un brano atmosferico e contemplativo, tecnicamente meno complesso e veloce dei precedenti, caratterizzato da una clean-vocal davvero evocativa. "Snow", è una lunga composizione dall’introduzione pianistica e dagli interpuntistici inserimenti di violino, che accompagnano per intero il componimento, in un susseguirsi e capovolgersi di fraseggi all’insegna del drammatico in musica. "Forgotten" è un brano death-metal, in stile scandinavo, in cui stop and go, cambi e ripartenze, la fanno da padrona; e sul finire "Weaver", solenne, enfatico e a tratti ieratico, componimento, che termina, con la sua multitematicità, un meraviglioso viaggio musicale, dalle seducenti, ottenebrate e riflessive trame all’insegna del drammatic-death-metal.
Concludendo
Che cosa dire ancora di così esaustivo, ci sarebbe ancora tanto da raccontare e analizzare, tuttavia, e in sintesi, Weaver of Forgotten segna il ritorno di una delle più importati realtà artistiche italiane e non solo, poiché, i Dark Lunacy sono l’esempio di come l’Italia sia la patria di creature dalla geniale indole, che con un dovuto supporto logistico ed economico, non avrebbe nessun problema ad imporsi sul mercato globale, tuttavia, lasciando da parte eventuali e dovute polemiche, infine, e con affettuosa sincerità, dico - ben tornati Lunacy! -.
Nicola Pace