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Three Bodies Layers

METALTRASHFACTORY - Three Bodies Layers
(2011 - Autoprodotto)voto: 6/10
C'era una volta il vecchio caro trash: velocità, ritmi aggressivi, doppia cassa, riff di chitarra complessi e tecnica a volontà. Senza alcun dubbio si tratta tuttora della tipica musica senza vie di mezzo tanto cara al metallaro old style, da sempre poco aperto ai cambiamenti e desideroso di gustarsi solamente la giusta razione di puro metallo spremuta al massimo livello. Poi, si sa, il tempo scorre inesorabile dando vita a cambiamenti più o meno graditi, ed è opinione comune che il futuro del metal risieda nelle innovazioni e, in particolare, nelle contaminazioni tra un genere e l'altro. A piccole dosi, aggiungo io, perchè le tradizioni andrebbero rispettate in tutta la loro semplicità ed autenticità, senza alcuna eccezione. Questa premessa, tutt'altro che polemica, credo sia la giusta introduzione per i nostrani MetalTrashFactory, band giunta alla pubblicazione del primo full lenght e che si pone proprio in una sorta di continuum temporale tra passato e presente. A dispetto del nome, il combo veneto cerca infatti soluzioni desuete proponendo un prodotto dotato di un vasto spettro sonoro e, per questo motivo, di amletica collocazione: un post-thrash metal tinto di death doom (My Dying Bride del triennio '92/'95 e primissimi Anathema), accenni sludge (su tutti Crowbar e Down) e, sullo sfondo, l'evidente bagaglio di un trascorso punk-rock che fa capolino tra una nota e l'altra. Il risultato, a mio avviso, è un meltin' pot di chiara astrazione moderna dove è facile ravvisare sia aspetti positivi che negativi. Da un lato va in effetti sottolineata con merito la capacità di saper rileggere le tanti componenti derivative attraverso una buona personalità; dall'altro però a farne le spese sono certamente gli scorci tipicamente classici, offuscati da influenze così diverse da farli sembrare un banale contorno. Allo stesso modo, se è vero che l'eterogeneità viene domata e resa organica scongiurando un esito caotico, è altrettanto innegabile che sulla lunga distanza “Three Bodies Layers” cade nella trappola della ripetitività e della scontatezza.
Luci ed ombre dunque, ma andiamo in play. La partenza è ben riuscita grazie all'opener “Horizon of Event”, tra le migliori del lotto e specchio dell'anima dei MTF, con le sue lente e magnetiche serie ritmiche interrotte di tanto in tanto da repentine e violente sterzate. La segue “Lost in the Snow”, un pezzo decisamente orecchiabile in cui è apprezzabile ancor di più la già citata volontà del gruppo di non piegarsi, per quanto possibile, ad una determinata categoria musicale, ma di andare alla ricerca di strade meno battute. Di sicuro semplice, ma tutto sommato funziona ed è ciò che conta. Nella top three entra di diritto anche “New Life pt.II”, brano plumbeo e rabbioso avente il pregio di svelare al pubblico che i valori tecnici messi in campo dal quintetto italiano non sono solamente rispettabili, ma soprattutto adatti a creare scenari morbosi, oscuri ed incalzanti, in puro stile doom. Purtroppo qui terminano le note liete in quanto, come accennavo pocanzi, l'immutato leitmotiv melodico porta le restanti canzoni ad essere davvero troppo monotone e simili l'una all'altra. Tutte a parte l'intrusa “Comandante”, che in fin dei conti sarà pure simpatica (qui è senz'altro la mia ammirazione per El Che a parlare), ma se non fosse per il cantato gutturale, potrebbe tranquillamente passare per una traccia ska. Insomma una scelta discutibile e “autolesionista” poiché, data la sua diversità, rischia di essere l'unica a restare ben scolpita nella mente, facendo passare in secondo piano il resto del cd. Disattenzioni unite a limiti strutturali quindi, che comunque non vietano a questi dignitosi musicisti di fare la loro onesta figura. Nello specifico, e senza nulla togliere agli altri, ho trovato molto interessante l'asse ritmica creatasi tra il batterista (un po' “timido” ma puntuale) e la bassista (corposa ed ipnotica), sempre all'unisono nel disegnare le atmosfere decadenti del disco. Il resto dei ragazzi poi non demeritano affatto, rendendosi complessivamente protagonisti di una discreta prova: il vocalist mi è sembrato a suo agio e capace in questo genere, tuttavia sarebbe fondamentale per lui essere un po' meno monocorde e, specialmente, migliorare la pronuncia inglese; i chitarristi invece manifestano di sapere il fatto loro pur limitandosi troppo spesso al compitino, quando, al contrario, dovrebbero osare un po' di più e non rimanere ancorati alla solita ripetizione ostentata dei medesimi riff.
In conclusione, siamo certamente al cospetto di un progetto interessante, ambizioso e con un'ottima produzione alle spalle, che però risulta ancora ostaggio di imperfezioni e peccati di inesperienza al momento inevitabili. “Three Bodies Layers” si dimostra pertanto un album appena sufficiente, anche se, allo stesso tempo, sarà certamente basilare per il futuro dei MTF nell'intricato e selettivo mondo dell'underground.
Davide Khaos