Metti una sera di trent’anni fa su raitre, ad un orario giustamente improponibile; mi trovo quasi per caso davanti a un double-bill da (veramente) paura: due film di un cineasta giapponese che non conoscevo, Shin’ya Tsukamoto; il primo, Hiruko the Goblin è un film di spiriti maglini che tormentano un gruppo di studenti in cui il body-horror si spreca, ma è il secondo film che mi si stampa nella memoria, marchiandola a ferro e fuoco: un incubo lisergico di carne e metallo come forse solo Cronenberg; un film in cui, tra bambini esplosi, isteria e disperazione urbana e uomini che si trasformano in giganteschi detonatori che fanno scoppiare tutto, la follia regna sovrana. Il film è Tetsuo II: Body Hammer, e qui ovviamente (citando appena il Tetsuo antagonista/vittima dell’immenso Akira di Katsuhiro Otomo) trovo il bandolo per collegarmi alla band oggetto di questa recensione, i TəTSUO, appunto di cui ho nelle orecchie la musica da parecchi giorni e la cui poetica ha parecchie cose in comune con i succitati personaggi: una profonda alienata disperazione condita con dei suoni giustamente aspri e taglienti.

I 6 pezzi che compongono il presente ‘Dots’, pesanti come blocchi di cemento armato, sono un frullato di post (metal/hardcore), death doom metal, voci growl, effetti stranianti e dolentissime melodie oscure, che vi terranno compagnia per una mezz’ora abbondante con la giusta dose di angst esistenziale e che funzionano perfettamente sia sotto il sole torrido, che sotto le pioggie scroscianti di questo clima ormai impazzito come noi poveri mortali.

Ogni canzone, dall’andamento martellante e ossessivo, ha un’interessante evoluzione interna per cui si aggiungono suoni, riff, ma anche solo sensazioni e stati d’animo – grazie al cantato lacerante e sofferente di Julian – proprio come nel film di Tsukamoto (di cui consiglio caldamente di vedere il primo episodio – ‘Tetsuo – The Iron man‘ di cui quello precedentemente menzionato è una sorta di sequel/remake ante litteram) la carne si ibrida e si fonde con circuiti, acciaio, cavi per evolvere in qualcosa di superiore e mostruoso.

I brani, come citato in precedenza, non sono mai veloci, se non in qualche break qua e là, ma non è una cosa importante/ necessaria, anzi la violenza e la disperazione risultano ancora più efficaci a queste andature, dove addirittura gli strumenti, in particolar modo il basso di Paolo e la batteria di Enrico risaltano al massimo, rendendo quasi tangibile la sofferenza cantata. Mi sarebbe piaciuto avere i testi sottomano per farmi un’idea completa del songwriting, che comunque non mi ha assolutamente deluso da quello che ho capito io delle lyrics e soprattutto dalla parte musicale che ho trovato dolentemente fresca e a fuoco.

I miei pezzi preferiti sono ‘Lies And Mirrors‘ e ‘Loneliness And Suffering‘: in entrambi i brani si ha uno sviluppo che culmina in una cesura netta e subitanea che trasforma la canzone, pur mantenendone compatta l’identità; nel primo caso si ha la sensazione che ad un certo punto si attraversi proprio lo specchio citato nel titolo, ma invece di incontrare la classica Alice nel paese delle meraviglie, ci si perda tra le fauci del Jabberwocky della medesima storia, mentre nel secondo pezzo si trova un omaggio/tributo ai My Dying Bride del periodo ‘The Angel And The Dark River‘, filtrato e stravolto alla maniera della band, che è un gran bel sentire, culmine musicale di un disco interessante che consiglio caldamente a chi cerca soluzioni non convenzionali nella musica estrema.

 

Cristian Angelini

 

Tracklist:

  1. Only An Illusion
  2. Lies And Mirrors
  3. Pain And Lies
  4. Widening The Circle
  5. Dots
  6. Loneliness And Suffering
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Hypershape Records
  • Genere: Post Metal

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