Formazione nata dall’unione dei membri di tre band (Urluk, Malariu, Na Zarot) focalizzati nel mettere in musica le “esperienze sovrannaturali” avute nella casa di famiglia di uno dei membri. Il nome della band, Manserunt, deriva da una scritta dipinta nel salone di questa dimora nella quale echeggiano gli spiriti degli abitanti degli ultimi 120 anni (da qui il titolo dell’EP: “Geist”, ovvero “spirito”).

Concept senz’altro suggestivo e personale, addirittura intimo, che si riverbera nell’approccio musicale portato avanti dai Manserunt che adottano un raw black decisamente essenziale, contaminandolo con i contributi pianistici di Na Zarot. Contributi che trovano piena espressione nella quarta traccia (“Geist”), sfruttando appieno i riverberi malinconici dello strumento ed esplorandone la furia ritmica e caotica. La tracklist è imperniata e incardinata su questa traccia unitamente alla intro ambient/orrorifica imperniata su sussurri e droni industrial e all’outro che ripropone gli stessi sussurri, resi meno sinistri dal commento pianistico: si disegna perfettamente la sensazione di “intercettare” la trasmissione di testimonianze da un’altra dimensione. Un mettersi in ascolto tradotto in “sintonizzarsi” su frequenze altre. Un mettere a fuoco queste frequenze a lasciarsene invadere fino a che il segnale rimane stabile.

Le quattro tracce “effettive” proposte simmetricamente all’interno di questa griglia, per contrasto, sono affidate ad uno sfoggio di minimalismo estremo. La formula proposta è quella di un black metal furiosamente veloce, per quanto mai portato sul blast beat, incardinato su uno/due riff per canzone e costruito sull’introduzione di uno/due stacchi rallentati a creare un momento di pathos nella furia ritmica lanciata su un s-beat dritto per dritto. In “The Room That Looks” lo stacco è affidato alla rilettura in chitarra clean del main riff (appoggiata su un drone sospensivo).

“Four Cracked Windows” amplia leggermente la palette ritmica proponendo un mid tempo sostenuto e sospinto dai colpi sull’hi-hat, in bilico tra primi Bathory e l’esordio dei Samael. Interessante il lavoro fatto sul riff principale che viene proposto prima come successione di tre accordi e poi arricchito con la costruzione di una melodia sullo stesso pattern.

Curiosamente, o forse no, del resto i racconti e il dolore dei trapassati si assomigliano tutti, “The Arm In The Ditch” sembra riprendere, dopo l’intermezzo pianistico di “Geist”, la stessa linea melodica di “Four Cracked Windows”. Più sorprendente invece il “breakdown” rallentato, qui affidato ad una sorta di ballata dissonante. Una sorta di carillon, o forse un organetto in stile film francese, elettrico e disarmonico, vagamente ebbro. Quando inizia “We Remained” ho controllato che la traccia precedente non fosse rimasta in modalità repeat: il riff portante è una variante impercettibile, dal sapore vagamente dodecafonico, di quello di “The Arm In The Ditch”, quasi fossero due sezioni di una suite. In effetti il breakdown rallentato è una variante più composta della melodia da “organetto ubriaco” da poco sentita. Le stesse armonie/disarmonie qui affidate ad un efficace arpeggio distorto che si allarga nello spazio grazie al fuzz della chitarra (che ha la stessa valenza del pedale di risonanza del pianoforte che lascia le corde libere di vibrare e riverberare).

Le scelte di produzione esaltano il suono delle chitarre rendendo ben percepibili le trame melodiche del riffing e creando quell’alone pervasivo dato dal fuzz e dal riverbero. Altrettanto nitida la presenza della batteria mentre, le vocals, affidate ad uno scream lacerante e sofferto, rimangono leggermente indietro, fondendo il proprio reverbero con il fuzz delle chitarre. Se di raw metal si tratta, non si tratta però di una produzione low-fi, anzi. È decisamente nitida nel suo essere scarna e di questa nitidezza giovano in particolare gli inserti rallentati.

Non so se questo lavoro si porrà come un unicum o se sarà il primo capitolo di una nuova avventura musicale. Quel che è certo è che il prodotto, nel suo estremo minimalismo, si impone per chiarezza di intenti ed efficacia di risultato.

 

Samaang Ruinees

 

Tracklist:

  1. Intro
  2. The Room That Looks
  3. Four Cracked Windows
  4. Geist
  5. The Arm In The Ditch
  6. We Remained
  7. Outro

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta:Adirondackblackmass productions (CD e Tape)
    Pileofheads Productions/Adirondack Black Mass Productions (vinile)
  • Genere: raw black metal

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Autore

  • classe 1970, dopo aver fatto studi musicali classici scopro a 15 anni il metal. a 17 anni il mio primo progetto (incubo - thrashgrind), poi evolutosi in thrash tecnico con gli insania (1989-1997) e infine in death-thrash con insania.11 (2008-attivo). prediligo negli ascolti death e black ma ho avuto trascorsi felici con la dark wave e l'industrial. appassionato di film e narrativa horror, ho all'attivo un romanzo pubblicato e la partecipazione con dei racconti ad un paio di antologie.

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