Con “III“, pubblicato il 2 dicembre 2024, gli Aikira firmano il loro lavoro più ambizioso, denso e articolato. A dieci anni dall’esordio discografico e sei anni dopo “Light Cut“, la band abruzzese ritorna con un album che segna una profonda evoluzione nella loro estetica sonora e concettuale. Si tratta di un’opera che unisce la potenza del post-metal alla psichedelia, l’urgenza del post-hardcore all’introspezione del rock atmosferico, aprendo per la prima volta le proprie composizioni all’elemento vocale – e quindi narrativo – in modo strutturato e maturo.
Gli Aikira nascono nel 2008 a Tortoreto, in provincia di Teramo, da un’idea di Alessandro “Fango” Pizzingrilli e Danilo “Il Kote” Concetti, musicisti già attivi nella scena hardcore italiana grazie alla militanza nei Vibratacore, band cult dell’underground centroitaliano. Dalla voglia di esplorare territori più aperti e cinematici, ma mantenendo una tensione emotiva costante, prende forma un progetto inizialmente strumentale. L’ingresso di Andrea Alesi (ex De Sverzaux) porta una nuova complessità armonica e l’uso di synth e arrangiamenti stratificati, mentre il nuovo bassista Lorenzo Di Cesare (già nei Moonshine Booze) consolida la formazione e il sound con una sezione ritmica densa, pulsante e precisa.
Dopo due album – “Aikira“ (2014) e “Light Cut“ (2018) – che hanno consolidato la loro identità sonora tra lunghe progressioni strumentali, esplosioni sonore e ambientazioni visionarie, “III“ rappresenta un salto di qualità sia in termini di scrittura che di produzione.
Composto tra il 2018 e il 2023, III è un album che riflette il tempo della sua gestazione: stratificato, complesso, dinamico. È il primo lavoro in cui la band include contributi vocali esterni e in cui la voce – spesso trattata come uno strumento aggiuntivo – gioca un ruolo fondamentale per dare senso e coesione a brani già ricchi di cambi di tempo, sovrapposizioni ritmiche e tensioni dinamiche. Le nove tracce si snodano come tappe di un viaggio sonoro e immaginifico
L’album, composto da nove tracce, si presenta come un percorso sonoro coerente ma ricco di sfumature, dove ogni brano ha una propria identità, spesso legata a un protagonista musicale diverso. Sebbene l’insieme risulti talvolta ripetitivo e privo di un vero e proprio pezzo memorabile, emergono momenti di grande intensità emotiva e ricerca stilistica.
- “Daldykan”
Traccia d’apertura potente, con un arpeggio ipnotico che costruisce un’atmosfera sospesa. I richiami al death metal emergono attorno al secondo minuto, ma il brano si distingue per la sua capacità di dondolare tra la tensione e l’eleganza del post-rock, offrendo un sorprendente finale quasi jazz. Il titolo rimanda probabilmente al fiume inquinato in Siberia, suggerendo un’ambientazione distopica e industriale, coerente con il crescendo disturbante della sezione ritmica. - “Mono Lake” (feat. Marianna D’Ama)
Un cambio netto di tono: la voce di Marianna D’Ama, delicata e malinconica, guida un brano dove la linea vocale diventa protagonista, alternandosi armoniosamente con un fraseggio di chitarra raffinato. Le tessiture elettroniche e i riverberi avvolgono il brano in un’atmosfera dolce ma tesa, creando uno dei momenti più intimi dell’album. - “Nadir”
Un’apertura dal basso profondo e cordoso, con un groove che richiama i “Deftones” di “White Pony”. Questo pezzo rappresenta la discesa più oscura del disco, tra riff taglienti e batteria martellante, con evidenti influenze post-hardcore e un’energia che evoca i “Neurosis” e i primi “Isis”. È anche un esempio di come ogni brano sembri avere un proprio “protagonista sonoro designato”. - “Green Cat”
Brano che gioca sul contrasto: si apre su linee melodiche delicate, per poi virare verso strutture più heavy. La voce, arricchita da effetti, ricorda vagamente quella di Maynard James Keenan, mentre le liriche poetiche si muovono su una struttura mutevole, esplorando temi di duale tensione tra istinto e controllo. - “Roy Seven Times” (Tribute to Roy Sullivan)
Costruito su un arpeggio intrigante e un fill di batteria accattivante, il brano rende omaggio – con ironia amara – all’uomo colpito sette volte da un fulmine. I cambi di tempo e le sfumature psichedeliche evocano l’imprevedibilità della sorte. La sezione ritmica brilla per coesione e inventiva. - “Alla Vecchia Maniera” (feat. C.U.B.A. Cabbal)
Un episodio del tutto inatteso che fonde metal e rap hardcore, grazie al featuring di C.U.B.A. Cabbal, storico nome dell’hip hop italiano. Il brano denuncia e afferma con forza una certa eredità artistica e sociale, rievocando una maniera “vecchia” – ma autentica – di fare musica. Un momento di rottura che spicca all’interno dell’album. - “Asymmetric”
Costruito attorno a un groove ipnotico e scuro, il brano si apre con un fill di batteria che ricorda vagamente “My Own Summer” dei “Deftones”. La progressione ritmica e la coda ambient evocano paesaggi mentali intensi e visivi, portando l’ascoltatore in territori quasi cinematografici. - “Elemental 23: Pendulum”
Una pausa meditativa, una sorta di scheggia improvvisata che interrompe la tensione accumulata. Breve ma significativa, questa traccia funge da ponte verso il finale, sospendendo l’ascolto in un limbo contemplativo. - “The Fall“
Chiusura perfetta, dove ogni elemento sonoro viene smontato e ricomposto. Il brano si muove tra caos e ordine, tra bellezza e disfacimento, chiudendo il cerchio tematico e stilistico dell’intero lavoro. Una discesa lisergica che riassume le tensioni e le armonie esplorate nell’album
Il lavoro tecnico di “III“ è impeccabile: la registrazione e il mix di Davide Grotta presso lo ST Studio di Tortoreto (TE) restituiscono un suono potente e nitido, mentre il mastering di Davide Cristiani al Bombanella Studio (MO) valorizza la dinamica e l’ampiezza spaziale delle composizioni.
La copertina, firmata da @andtrea, è un’opera astratta e suggestiva che ben rappresenta l’ossimoro centrale dell’album: un equilibrio fragile tra tenebra e luce, caos e forma. L’artwork rafforza ulteriormente la dimensione concettuale del disco, diventando parte integrante della sua narrazione visiva.
Con “III“, gli Aikira non solo consolidano la loro posizione tra le band più coerenti e visionarie del panorama post-metal italiano, ma dimostrano anche la capacità di evolversi senza snaturarsi. È un album che chiede ascolto attento, che si svela lentamente e che lascia un segno profondo grazie alla sua intensità emotiva, alla cura nei dettagli e alla varietà timbrica. Un’opera che riesce a unire la forza primordiale dell’hardcore con la sensibilità del rock atmosferico, in un equilibrio raro e prezioso.
Consigliato a chi ama i suoni di Cult of Luna, Russian Circles, Amenra, ma anche ai fan dell’alternative italiano più audace e contaminato.
Martina Manca
Tracklist:
- Daldykan
- Mono Lake
- Nadir
- Green Cat
- Roy Seven Times (Tribute to Roy Sullivan)
- Alla Vecchia Maniera (feat. C.U.B.A. Cabbal)
- Asymmetric
- Elemental 23: Pendulum
- The Fall
- Anno: 2024
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Post Rock / Post-Metal / Post-Hardcore
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