Attivi da 2016 e, supposizione mia data l’assenza di una vera e propria bio, nati da una costola dei Dyrnwyn, dalle cui fila il qui presente Alessandro Mancini si distingue per aver partecipato nel 2024 al ritorno sui palchi degli Stormlord, gli Aita si presentano con un EP di quattro tracce di importante durata che danno loro modo di definire con chiarezza la propria proposta. Che i membri del gruppo abbiano una radicata esperienza, i Dyrnwyn sono attivi dal 2012, si percepisce con evidenza dalla qualità della musica proposta, orientata su un black metal di stampo atmosferico che ha come proprio punto di forza un forte afflato epico ed un radicato gusto per melodie di immediata presa gestite dalle linee di chitarra ben strutturate, intrecciate con misurati inserti orchestrali, e ben supportate da un robusto e vario lavoro della sezione ritmica.

Ne “Il Nome Del Vento”, traccia di apertura dell’EP, si mettono subito le cose in chiaro con l’efficace utilizzo di droni e soffusi contenuti orchestrali a sostegno dell’arpeggio in clean che dispiega il tema portante del brano. Ai meditativi contributi degli archi subentra organicamente la sezione elettrica che sviluppa e declina il tema melodico iniziale. Il cantato in italiano, espresso in uno yell profondo e autorevole, ben si sposa con la pienezza offerta dalla base strumentale che ben presto si svuota, offrendo a guisa di “ritornello” il ritorno del tema melodico, questa volta interpretato da un suggestivo ed etereo flauto. La struttura della composizione è quella tipica dell’atmospheric black metal, con una sezione centrale che riprende il tema d’apertura spezzando in due parti simmetriche il brano creando un gioco di rarefazione/ispessimento. Rispetto a tante formazioni che, nell’utilizzare questo schema compositivo, si arroccano su posizioni di estremo minimalismo, gli Aita lo sviluppano con gusto e ricercatezza mantenendo però salda la barra sulla semplicità e l’immediatezza. Il contrappunto tra esposizione “acustica” del tema e il suo “sviluppo elettrico” gode di un arrangiamento evolutivo che attraversa le diverse sezioni regalando il senso di un costante crescendo fino all’incalzante sezione finale che vede il rarefarsi del tema melodico e il declinarsi in blast beat della sezione ritmica. Gli Aita si prendono il loro tempo per sviluppare ogni sezione con calma, con efficacia e con gusto, affidando e stratificando il tema melodico “fondante” a diversi contributi acustici, archi e flauto prima, pianoforte e cori maschili dopo, e attraverso arrangiamenti efficaci delle linee di chitarra. Il tutto senza strafare, la ricerca orchestrale è fatta con misura senza sconfinare in pretese di pomposità, e le sezioni elettriche vivono di piccole finezze, mantenendo il focus sull’efficacia melodica ed emotiva. Nel prendersi il loro tempo sviluppano una tracklist che, in sole quattro tracce, supera i 42 minuti di durata.

Un sapore leggermente più folk/viking pervade l’incipit di “Artume”, il cui riff d’apertura tradisce influenze celticheggianti. Il tema melodico sotteso viene estratto dal flauto e sorretto da un aggressivo blast beat e un serrato tremolo picking mentre la voce declama la prima strofa con uno yell rauco e “trascinato”, come se questo registro vocale fosse in realtà adattato a metriche più consone allo scream. Efficace l’ingresso della sezione centrale rallentata in cui la sezione ritmica “muove” con anticipi di cassa l’incedere meditativo del riff di chitarra, innescandone poi l’incedere “terzinato” che rammenta in versione rallentata certe classiche ritmiche dei Maiden. L’arrangiamento di questa sezione è tutto finalizzato a dare sostegno al contributo in clean vocals offerto da Annapaola (guest vocalist) la cui linea melodica viene poi raccolta da un sinth che ricorda una fisarmonica. Sarà che il mio riferimento per questo approccio vocale è Lisa Gerrard dei Dead Can Dance ma, a mio gusto personale, è un passaggio che risulta efficace solo in parte: chiaro nelle intenzioni ed interessante nella cristallina declamazione delle liriche, mi è risultato leggermente “scolastico” ed acerbo. Sicuramente la parentesi “ancellare” risulta funzionale all’ingresso del blast e al cantato furente della sezione successiva che, pure, riprende con la linea di flauto il tema melodico e il senso di sospensione delle linee vocali di Annapaola. Dopo una sfuriata in blast gli Aita concedono un ulteriore momento sospensivo che dà modo al tema del flauto di aleggiare sospeso su un delicato arpeggio in clean, preludio ad una conclusione che, ripreso il di apertura, lo sviluppa con un’efficace sezione in up tempo.
“Tages” ci accoglie con un intreccio di chitarre in clean, una a definire la linea portante in arpeeggio, l’altra ad infoltirla ritmicamente. Sorrette da un drone atmosferico e da una linea melodica di violino maturano l’ingresso di una sezione in low tempo meditativo punteggiato da power chords distorti. L’ingresso della voce è sottolineato dall’ingresso del tremolo picking a popolare il background armonico mentre progressivamente la cassa si infoltisce in doppia per sostenere un crescendo autorevolmente epico per offrire sostegno, in combinazione con sapienti passaggi sui tom, ad un repentino svuotamento dalla componente elettrica e al ritorno del tema iniziale in clean. Rarefazione che è il preludio ad una sezione centrale che coniuga ritualismo pagano, il ritmo è sostenuto dal timpano e dai dischi di un tamburello che evoca sistri di romana memoria, a un tema di ispirazione celtica. Voci sussurrate ed efficaci ingressi di chitarra distorta, unitamente ad una batteria che “prende a muoversi” con andamento doomeggiante, sembrano preludere allo sviluppo di un crescendo per stratificazioni progressive. Il testimone invece viene raccolto da una brutale esplosione in blast che pure mantiene saldo il tema melodico, qui affidato al tremolo picking. Raggiunto il climax di ferocia gli Aita si concedono un ulteriore rallentamento, che riprende e sviluppa su coordinate più “medievali” la melodia iniziale. La sezione ritmica asseconda la costruzione di questo ostinato, prima in low tempo, poi procedendo su un mid tempo incalzante. Proprio quando si forma nell’ascoltatore la convinzione che si procederà verso il finale con un crescendo fino ad una sfuriata finale, gli Aita propongono un radicale cambio di metrica e di atmosfera con un tema sospeso di xilofono (o metallofono) sostenuto da una ritmica tesa di chitarra doppiata da basso pulsante e un drumming rarefatto ma puntuale. Qui finalmente prendono a stratificarsi temi, una linea di violino prima, la sua re-interpretazione in tremolo picking poi, sempre con sotto il punteggiare rarefatto del metalloffono mentre il drumming offre un sostegno in doppia cassa, fino a che la voce prende le redini portandoci ad un epilogo giustamente subitaneo.

Chiude il lavoro “Oltre Le Nevi”, che ripropone in veste completamente rinnovata la traccia di una demo del 2017. Traccia interessante per comprendere le radici compositive degli Aita, che si confermano nell’essenza ma risultano nelle tracce più recenti ampiamente rinnovate nella forma e nell’efficacia compositiva. Anche qui troviamo un incipit di atmosfera, affidato ad una linea arpeggiata commentata da un tema melodico affidato al flauto. Più densamente popolata di effettistica, l’intro propone un suo crescendo interno, il passaggio ad uno strumming in clean di impronta Primordial e il gonfiarsi del tema affidato agli archi, prima di affidarsi alla sezione “elettrica”. L’ingresso delle chitarre propone infatti un tema più canonico del melodic black e, per quanto affine, leggermente più slegato dall’intro. Lo sviluppo, pur caratterizzato da una buona articolazione della sezione ritmica e dal variare del riffing nell’assecondare lo sviluppo del tema melodico, appare più compatto e uniforme. Rimane invariato lo schema di “rarefazione della sezione centrale” caratterizzata da un mid tempo in progressivo crescendo che arriva a sfociare in una cavalcata finale caratterizzata da un ottimo lavoro di arrangiamento ritmico e dallo stratificarsi dei temi affidati a strumenti acustici. Risultando in una composizione articolata ma meno incline al gioco di contrappunto visto nelle tracce precedenti. Eppure, è già presente il “seme” di questo approccio “decostruttivista” nell’ apertura affidata ai cori maschili che interrompe il climax raggiunto poco prima della conclusione del brano e che rende più efficace le battute finali.
A mio modo di vedere l’aver progressivamente “asciugato” la disposizione alle orchestrazioni nelle sezioni acustiche e ambient e aver frammentato le sezioni “elettriche”, che in “Oltre Le Nevi” sviluppano progressioni organiche e articolate, ha giovato molto alla personalità della proposta, infondendo un sapore più sperimentale senza perdere in immediatezza.

Samaang Ruinees

 

Tracklist

  1. Il nome del vento
  2. Artume
  3. Tages
  4. Oltre le Nevi
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Earth and Sky Productions
  • Genere: Atmospheric Black Metal

 

Links:

Facebook

Youtube

Bandcamp

Autore

  • classe 1970, dopo aver fatto studi musicali classici scopro a 15 anni il metal. a 17 anni il mio primo progetto (incubo - thrashgrind), poi evolutosi in thrash tecnico con gli insania (1989-1997) e infine in death-thrash con insania.11 (2008-attivo). prediligo negli ascolti death e black ma ho avuto trascorsi felici con la dark wave e l'industrial. appassionato di film e narrativa horror, ho all'attivo un romanzo pubblicato e la partecipazione con dei racconti ad un paio di antologie.

    Visualizza tutti gli articoli
Vecchia versione del sito (archiviata)