Ho proprio apprezzato il modo in cui si sono presentati e proposti i romani Heartache, un gruppo prog Metal attivo da una manciata di anni, ma che si è approcciato a noi con una umiltà e cortesia davvero rare. Questo ammorbidirà la mia recensione? Non lo so, ma credo che lo spirito di una band si esprima anche al di là dell’aspetto musicale e mi sembra quindi sensato condividere questo dato con chi leggerà queste righe.
“Progressive” è una di quelle parole contenitore in cui sbattiamo dentro veramente di tutto e una cosa che mi ha colpito di questi cinque musicisti è la varietà di interpretazioni che hanno dato di questo termine distillandolo in nove tracce piuttosto eterogenee, che potrebbero far pensare, ad un ascoltatore distratto, di trovarsi di fronte a gruppi diversi, tanto è ampio lo spettro sonoro. Certo, questo può rimandare anche ad un certo grado di acerbità del progetto, ancora evidentemente in cerca di un’identità slegata dai vari modelli di riferimento, per quanto distanti tra loro possano essere.
Dal punto di vista del suono siamo già ad alti livelli, con una produzione genuina e potente che mette in risalto il notevole bagaglio tecnico dei relativamente giovani musicisti. L’attacco di “Steps Ahead”, col fraseggio di basso poi doppiato da deliziosi sintetizzatori, mi porta alla mente i Ritual quando giocano a fare i Gentle Giant, ma con un taglio più scuro e urbano, in cui la scoppiettante batteria si concede anche tappeti di doppia cassa all’interno dell’intricato ricamo proposto. Il cantante, anche considerati gli alti standard del genere, non se la cava affatto male dal punto di vista tecnico, ma rilevo una personalità artistica ed espressiva ancora non del tutto a fuoco o capace di distinguersi ed emergere. Le parti strumentali invece sono gustosissime, soprattutto gli stacchi finali alla Rush, nei quali riusciamo a partecipare del divertimento della band stessa. Per “Refuge” è stato girato anche un claustrofobico video, per sfruttarne l’accattivante ritornello con voci armonizzate. Gli armonici all’inizio della strofa sembrano quasi una citazione di “Freak On A Leash” dei Korn e il pezzo prosegue abbastanza anonimamente poggiandosi su accordi gravissimi ed un cantato che non buca. Questo rende l’entrata del ritornello ancor più efficace. L’apertura strumentale epica con bell’assolo di chitarra si alterna ad altre sezioni cantate che mantengono tensione e oscurità, ma non certo eclatanti per originalità. Ci si risolleva nella coda strumentale finale, coi musicisti che si confermano sempre generosi con l’ascoltatore, offrendo spesso qualche chicca da sgranocchiare. Si cambia atmosfera con “New Paths To Find”, con tastiere in evidenza ed un’atmosfera tra new wave e post metal piacevolmente straniante. La batteria è sempre determinante nel sollevare la band da ogni rischio di stagnante staticità e conferma il proprio ruolo di protagonista nell’economia del gruppo. Mancano anche qui ganci vocali epocali, ma è tutto molto gradevole, con continui cambi di sfumature che costringono ad un incessante aggiornamento del software di ascolto.
“Tape Rewind” sembra fare utilizzo di loop ritmici, ma non mi stupirebbe scoprire che in realtà si tratti di un trucchetto del nostro amico batterista, che in realtà li sta suonando veramente, sotto a quel mantello di morbidi sintetizzatori e quel cantato alla Geddy Lee anni ottanta. Canzone veramente atipica all’interno di questo album: semplice, minimale, nostalgica e soffusa. Una parentesi aperta e chiusa giusto per raccontarci un altro lato della loro sensibilità musicale.
Un breve intermezzo strumentale atmosferico fatto di tensioni (“Trust The Void”) e ci tuffiamo nell’efficacissima, solenne apertura di “Conscience Wreckage”, dalla strofa mansueta e galleggiante e sonnolenta che viene gradualmente iniettata di energy drink fino al ritornellone. Fraseggio chitarristico centrale alla Rush che inaugura la sempre appassionante sezione strumentale, questa volta particolarmente dilatata. Se proprio devo fare i piedi alle mosche, appunterei che la gagliarda baldanza strumentale e l’epico ritornellone stridono un poco col contenuto lirico fatto di disperazione e rimorso, ma vabbè.
Schitarrate acustiche da spiaggia per una “Aint No Use” che sa di Alice In Chains e di grunge (ma anche un po’ di Porcupine Tree) come se gli Heartache avessero aggiunto un velo di tastiere ad una registrazione di un brano dimenticato nel cassetto trent’anni fa.
“Worn Out” è una lombricosa composizione che ammette palesemente le proprie pesanti influenze Tool, ingentilendosi man mano fino a lambire le ambientazioni sonore raffinate e sobrie tipiche degli ultimi Fates Warning, aggiungendo un altro bell’assolo alla collezione e ribadendo cortesemente la necessità di lavorare un pochino di più sull’emotività e l’identità in merito al determinante ambito vocale, per il resto sempre molto curato anche a livello di armonie e stratificazioni.
Una bella composizione Metal progressive è la conclusiva “Last Grace” che, pur appoggiandosi a svariati collaudati manierismi, certifica l’abilità dei nostri nel parlare fluentemente molti linguaggi e di saperne gestire le logiche e le dinamiche senza lasciarci il tempo di sbadigliare troppo.
Bello il logo monogrammatico triangolare e più che pregevole la copertina.
Il disco magari non è perfetto, ma la band è solida, valida, curiosa, ambiziosa e molto promettente: di certo non avranno paura di continuare ad esplorarsi e migliorarsi. Ne seguirò con piacere gli sviluppi.
Marcello M
Tracklist:
- Steps Ahead
- Refuge
- New Paths To Find
- Tape Rewind
- Trust The Void
- Conscience Wreckage
- Ain’t No Use
- Worn Out
- Last Grace
- Anno: 2024
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Progressive Metal/Alternative rock
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