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VALAR MORGHULIS
Dopo aver recensito, qualche mese fa, il loro 'Field Of Ashes' , il nostro Salvo ha intervistato i ragazzi dei Valar Morghulis, vediamo cosa ne è venuto fuori.
Valar Morghulis, nome chiaramente ispirato dalla saga Games of Thrones di G.R.R. Martin, cosa vi ha portato alla scelta di questo nome per la band?
(Rob) Sono un fan dei libri di Martin dalla loro prima pubblicazione in Itali, una decade prima dell'uscita della serie tv. Ho sempre trovato affascinante il termine Valar Morghulis oltre che per il significato “tutti gli uomini devono morire”, che suona come una sentenza, anche per il suono che è ovviamente adatto ad una band del nostro genere. Un po' come Anaal Nathrakh tratto da Excalibur oppure i termini tratti da lingue inventate usati da Lovercraft o Tolkien nei loro scritti.
Il vostro ultimo Full Length: “Fields of Ashes” mostra diverse sfumature, come definireste il vostro genere?
(Luca) Una premessa doverosa è che non ci siamo mai prefissati di suonare un dato genere, ma piuttosto siamo partiti con un’idea di atmosfera che la musica deve trasmettere. Come da nome, “Valar Morghulis”, cerchiamo di amalgamare epico e oscurità, di raccontare delle storie di vita e morte. L’importante per noi è che ci siano alcuni elementi caratterizzanti: il riff portante, una melodia nel ritornello, scambi tra voci pulite e distorte. Se dobbiamo dare delle etichette, direi che l’impianto di base parte dall’heavy metal, ma ci sono influenze melodic, melodic death, epic, anche qualcosa di black in brani come “Darvulia” o “Where the Blackfish Dwell”. Per presentarci in breve, di solito con le tre parole “epic-melodic death” ce la caviamo.
Dietro le battaglie epiche, scenari fantasy e gotici, qual è il messaggio che la band vuole mandare?
(Rob) Non abbiamo la pretesa di “dare una morale” o mandare messaggi univoci. Cerchiamo di mettere in musica, storie, racconti e immagini, qualsiasi sia il tema che ci attrae. Può essere tratto da un fatto realmente accaduto, “Broken Eagle” e la disfatta dei romani nella battaglia di Teutoburgo, da una leggenda popolare come in “Darvulia” che narra le malsane vicende della contessa Bathory e la sua serva, oppure da un racconto di fantasia come in “Dreadfort” tratto proprio dai racconti di Martin.
(Luca) Anche io la vedo come Rob. Non c’è un messaggio univoco, ma piuttosto un filo conduttore tra i brani: “Valar Morghulis”. In tutti i pezzi c’è un intreccio di vita e morte, spesso con la seconda che porta pace o “risolve” la prima. Ognuno può darvi il significato che vuole.
Qual è il processo di creazione dietro i vostri brani?
(Luca) Dipende abbastanza da brano a brano. Io preferisco scrivere testo e musica perché faccio fatica a vedere le due cose separate, ma mi è capitato anche di adattare un testo a riff già scritti. Di solito ho un tema di cui voglio parlare, ho dei versi in testa, me li canto e ho un’idea della musica che poi scrivo. Anche Rob e Isobelle tendono abbastanza a fare questo, spesso partendo dal testo e con un’idea generale della parte strumentale da creare tutti insieme. Lore invece è una macchina da riff, tira fuori il diamante grezzo da lavorare insieme – To the Walls è nata così. Poi, alla fine, la batteria dà l’intensità, e qui Vale sa tirare fuori sorprese.
Quali sono le band dalle quali traete più ispirazione?
(Luca) Pur restando nell’ambito metal, abbiamo gusti abbastanza eterogenei. Se devo menzionarne due, personalmente dico Judas Priest per l’evocatività dei testi e i riff che sono l’essenza del metal, Ensiferum per le melodie e l’atmosfera death-epica. Rob probabilmente – a rischio di essere smentito – citerebbe come sacra trinità Queen, Motley Crue e Cradle of Filth... non proprio lo stesso genere. Tra le influenze nella nostra musica ci sono sicuramente anche band come Amon Amarth, Arch Enemy Nightwish, e ovviamente gli imprescindibili Maiden.
(Rob) Non smentisco anzi... potrei citarti anche i The Cure per quanto mi riguarda, e un sacco di altri gruppi che molto poco hanno a che fare con il metal. Quando abbiamo registrato “Dreadfort” ad esempio mi è stato fatto notare che la linea di basso della strofa è molto “Skunk Anansie”.
Cosa ne pensate dell'attuale scena metal italiana?
(Rob) Abbiamo condiviso il palco con moltissime band e abbiamo avuto la dimostrazione che è più attiva che mai. Il grado qualitativo si è decisamente alzato livellando quello che una volta era la distinzione netta tra artisti di professione e non. Purtroppo sono invece gli spazi che pian piano vengono a mancare, e questa pandemia è stata un'ulterio colpo di grazia per molte di queste realtà che sopravvivevano a stento.
Come band, come avete vissuto il periodo di quarantena che tristemente ha segnato questo 2020?
(Luca) Abbiamo cercato di renderlo produttivo cominciando a comporre i nuovi brani non appena il lockdown è stato allentato e siamo potuti tornare in sala prove. Purtroppo avevamo dei bei programmi per l’estate, tra cui un’apertura ai Deathless Legacy, un festival a Torino, e il Malpaga che già l’anno scorso ci è stato negato da un temporale. Per fine anno avremmo voluto organizzare un mini-tour all’esterno, ma il virus ha altri piani. Sicuramente non siamo rimasti a guardare, ma qualche rimpianto c’è, come è normale.
State lavorando su qualcosa di nuovo?
(Luca) Sì, anche approfittando dell’assenza di live ci stiamo mettendo sotto coi nuovi pezzi. Il primo post-Fields of Ashes, firmato Rob, è ispirato a una frase di Shakespeare. Ci sarà spazio anche per Herman Melville, i Celti e l’Antico Egitto, incluso un pezzo breve e d’impatto, cosa che mancava nel primo album. I temi che ci piacciono sono quelli, ma stiamo sperimentando qualcosa di nuovo. Nel brainstorming ho anche proposto un testo ispirato alla Seconda Guerra Mondiale; vedremo se diventerà qualcosa o se rimarrà un eterno feto!
Com'è al giorno d'oggi, nello specifico della scena italiana, essere frontwoman di una band metal?
(Isobelle) Penso che oramai questa domanda ha la stessa valenza del chiedere “com'è essere un frontman?”. Oramai una vocalist donna non è più una novità, diciamo che non siamo più mosche bianche come qualche decade fa. Anche nella scena italiana abbiamo condiviso il palco con band con vocalist donne, mi vengono in mente i Lachesis, gli Amthrya e i Deathless Legacy. A volte ho più il dubbio a parlare di “scena” visto che se è vero che ci sono tantissime valide realtà spesso è la coesione che viene meno e, purtroppo, i già citati spazi che vanno a ridursi.
Vi ringraziamo ed in bocca al lupo per il vostro futuro
Intervista a cura di:
Salvo Dökk Mule'