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CIRCLE OF WITCHES
Al termine dei lunghi mesi di lockdown che hanno impedito agli artisti di esibirsi dal vivo, la riduzione delle misure di distanziamento consente finalmente di tornare ad apprezzare la buona musica live. E' dunque l'occasione per il rilancio di molte band italiane e non solo che fanno dei tour la migliore, e forse unica, leva per farsi conoscere e promuovere le loro canzoni.
E’ certamente il caso dei campani Circle of Witches, storica band nata nel 2004 che dopo aver calcato i palchi italiani ed europei per quasi 20 anni, torna ad esibirsi, avendo la grande opportunità di accompagnare il tour dei russi Imperial Age, band consigliata (sebbene non italiana) agli amanti del metal sinfonico e del cantato femminile.
Abbiamo la possibilità di intervistarli per conoscerli meglio e per farci raccontare i loro piani futuri.
D: Innanzitutto ci piacerebbe sapere qualcosa su di voi. Cosa direste dovendo riassumere in poche parole più di quindici anni di storia?
(Mario Hell Bove, voce e chitarra) Sudore, sangue, decibel, amarezze, tenacia e tante soddisfazioni. Ho risposto moltissime volte a questa domanda e la sintesi di tutti gli anni che ci portiamo dietro è racchiusa in queste poche parole.
Quando ho fondato la band avevo una forte esigenza di suonare dal vivo qualcosa che fosse lercio di rock ed è quello che i CoW iniziarono a fare da subito. Poche prove, i primi brani scritti praticamente da sé e poi il palco, finalmente. Abbiamo suonato in tantissimi posti, dalle cantine ai grandi palchi europei. All’inizio non ci venivano nemmeno a sentire i nostri genitori (soprattutto loro) e oggi abbiamo la possibilità di tornare oltre Manica e incontrare vecchi amici che ci aspettavano da tempo. E’ stato un percorso di focalizzazione su degli obiettivi precisi che ci ha resi più professionali. Prima ci accontentavamo di essere “divertenti”, come dicevano quando avevamo un’attitudine più punk e demenziale. Oggi vogliamo essere bravi e il miglior complimento che ci fanno quando finisce il nostro concerto è “vorrei essere come voi”. In questo percorso abbiamo perso tanti pezzi, amici, musicisti, ci siamo guadagnati la stima di chi suonava da prima e meglio di noi ma anche l’inimicizia di chi non condivideva i nostri obiettivi o non credeva in noi. E siamo sopravvissuti.
D: Come descrivereste il vostro sound? Ascoltando i vostri brani (soprattutto quelli tratti dall’album Natural Born Sinners del 2019) le fonti di ispirazione sono il metal più classico e le atmosfere doom, da cui deriva credo anche la scelta del vostro nome. Ci abbiamo azzeccato in fase di recensione (l'invito per tutti è di andarlo ad ascoltare, recuperando anche la recensione di Domenico Stargazer su IDM, ndr) o ci è sfuggito qualcosa?
La vostra recensione restituisce bene le nostre sonorità di riferimento, alle quali mi sentirei di aggiungere i Satan e i Grand Magus. Come è ovvio che sia, tanti hanno sentito riferimenti diversi, spesso anche sconosciuti a noi e questo non può che farci piacere. Il sound che ci caratterizza ha subito un’evoluzione lungo tutta la nostra carriera e continua ad assumere nuove sfumature. Nel 2004 siamo partiti come una band stoner rock e oggi siamo un combo heavy metal che si nutre delle tinte scure del doom, passando per una forte influenza motorheadiana del disco precedente. Il nostro è stato un percorso di maturazione che si è però sempre poggiato (e resta) su un’ossatura hard and heavy ’70. Seguiamo la lezione di Black Sabbath, Judas Priest e Candlemass che poi decliniamo a seconda dell’ispirazione. Il nostro è un viaggio per mari sempre diversi ma pur sempre fatti di acqua salmastra. Per quanto riguarda il nostro moniker, più che essere legato al doom è un insieme di concetti che vanno dalla cultura lisergica (il cerchio delle streghe è un cerchio fatto di funghi) all’occultismo, dalla sapienza antica legata alla natura al paganesimo e la (contro)cultura della liberazione.
D: da sempre avete avuto un’intensa attività live. Al netto della promozione della vostra musica, pensate che sia la dimensione più giusta per apprezzare i Circle of Witches?
Certamente. Abbiamo sempre messo i concerti davanti a tutto, famiglie comprese. Abbiamo sempre scritto canzoni per poterle suonare così com’erano dal vivo. Per intenderci, quando eravamo un trio, abbiamo registrato le parti di assolo senza la chitarra ritmica che sostenesse il muro di suono. Non ha senso incidere della musica che dal vivo non possiamo riproporre. Abbiamo fatto un’eccezione con le intro e alcuni cori in stile gregoriano che dal vivo riproduciamo in parte con le nostre voci e in parte con le basi. Ma l’impatto sonoro lo rendiamo decisamente dal vivo più che nel disco, anche perché sul palco riusciamo ad esprimere in maniera spontanea tutta la nostra carica. Sul disco sei “perfetto” perché suoni e risuoni sempre la stessa parte, scegli la take migliore e poi si edita. Spesso è difficile dare l’effetto dell’adrenalina che ti attraversa il corpo mentre sei davanti al pubblico e devi stendere tutti col primo accordo.
D: Avete condiviso il palco con grandi nomi come UDO, Doro, Candlemass e con la mitica Strana Officina, suonando in Italia e all’estero. Quali sono gli artisti che vi hanno impressionato di più e, già che ci siamo, gli spettatori più caldi?
Abbiamo “rubato” un pezzettino del mestiere da ognuno dei grandi coi cui abbiamo diviso la scena. Probabilmente però Doro è quella che ci ha colpito maggiormente sul palco e fuori. In primis è un’atleta del metal. Quando suonammo con lei in Russia, esattamente sei anni fa, sostenne una performance di quasi 3 ore sfinendo i musicisti. Eravamo a Mosca alla fine del suo tour, con almeno un mese di date alle spalle, e scese dal palco fresca come una rosa, profumata e contenta come un bambina, mentre i suoi musicisti erano veramente stremati e coperti di sudore. Appena arrivati in albergo dall’aeroporto, prima che andassimo al palazzetto per suonare, lei stessa ci venne in contro uscendo dall’ascensore, ci sorrise e ci incoraggiò dicendo che sarebbe stata una bella serata e che era contenta di conoscerci.
Per quanto riguarda il pubblico più caldo… Potremmo dire che l’est Europa dà tante soddisfazioni, insieme ai tedeschi. Si godono il concerto e se gli piaci ti trattano da rockstar, ti chiedono foto, souvenir, autografi, ti danno la loro ragazza da smanacciare… In quei posti abbiamo sempre venduto tutto il merch che portavamo, ci hanno offerto fiumi di birra e vodka e ci hanno fatto sentire come fossimo gli artisti principali della serata. In Germania invece è stato entusiasmante sentire il pubblico cantare i ritornelli di alcune canzoni, un’emozione impagabile.
D: A gennaio partirete per le date con gli Imperial Age. Sarà un'ottima occasione per farsi conoscere fuori dai confini nazionali. Che ne pensate? Avete obiettivi di distribuzione e merchandising?
E’ stata una notizia splendida, il primo cadeaux della nostra nuova agenzia, al Rock on Agency. Appena firmato il contratto per l’ingresso nel loro roster ci hanno proposto questo supporto. Abbiamo delle aspettative molto alte perché i live sono sicuramente la forma di promozione migliore per una band come noi. Internet è figo ma siamo migliaia in competizione per un po’ di visibilità; la possibilità di conficcarti come una freccia nella testa dell’ascoltatore te la dà solo il concerto dal vivo. La quarantena ci ha fatto perdere due tour nel 2020, uno ad aprile in Gran Bretagna e l’altro a maggio in Est Europa. Essendo una band minore, ogni concerto che perdiamo è un concerto che difficilmente potremo recuperare, soprattutto all’estero. Credevamo che la data di un nostro ritorno oltre confine si allontanasse sempre di più. E invece, per fortuna, ci sbagliavamo. Non conoscevamo gli IA e prima di accettare li abbiamo “studiati” per capire se la combo potesse portarci dei vantaggi. Abbiamo scoperto che sono una band molto valida, suoniamo un genere un po’ diverso ma loro sono molto conosciuti e hanno una larga fan base su cui possiamo insistere anche noi. Ma parli con un gruppo che non si è fatto scrupolo di partecipare a festival quasi esclusivamente di metal estremo, in cui eravamo giusto la “pausa” sonora. Questa diversità è spesso stata la carta vincente che ci ha permesso di impressionare positivamente il pubblico.
D: A parte queste date avrete di certo altri programmi dal vivo. Volete parlarcene?
Il 2021 andrà via con poco da suonare, abbiamo diverse richieste ma poche si stanno concretizzando. Stiamo avendo non poche difficoltà a chiudere serate con un minimo di cachet e i locali del centro-nord sembra stiano dando spazio prioritariamente alle scene cittadine, per essere sicuri degli introiti e avere spese minori. In Campania purtroppo abbiamo un grosso problema con i locali per concerti e col pubblico. Tanti hanno chiuso già prima del covid e i nuovi devono ancora far quadrare la situazione. A gennaio però abbiamo già un po’ di date. Iniziamo col botto a Capodanno, il 1° dell’anno con un festival doom a Matera organizzato dalla Morrigan Promotion, capeggiato dai Goblin di Claudio Simonetti, poi avremo un altro paio di date a metà mese in centro Italia e il 25 si parte con il tour che toccherà Belgio, Germania, Inghilterra e Scozia. Vorremmo programmare concerti con maggior anticipo come facevamo prima, ma per ora si naviga a vista e si riesce a organizzare con un massimo di 2 mesi a meno che non sia qualcosa di veramente grosso.
D: Da ultimo una domanda d’obbligo sui programmi futuri legati ad un nuovo album. Considerando che la vostra ultima fatica è stata pubblicata nel 2019, avete già qualcosa di pronto? I mesi di lockdown obbligato vi sono serviti per comporre?
Il lockdown è stato un periodo di profonda depressione per me. Sono precipitato per settimane nella totale disperazione perché avevamo perso una grande occasione con l’album pronto ad essere smerciato, tanti piani saltati e l’incognita su come proseguire, se e quando recuperare i concerti e se la formazione, nel mentre, avrebbe retto.
Viviamo sempre con lo spettro di dover mettere fra parentesi il nostro impegno nella musica a causa delle necessità lavorative che via via diventano impellenti. Essendo il principale compositore della band, non avevo stimoli perché se scrivi un pezzo fighissimo ma non lo suoni con altre persone e davanti a un pubblico, che lo fai a fare? Per te stesso? Non sono quel tipo di musicista che compone per lasciare una canzone nel cassetto. Io scrivo per condividere l’ombra che ho dentro e magari trovare miei simili che si rispecchino in quella pozza nera. Per quanto la depressione ti impedisca di fare qualsiasi cosa, nei momenti meno disastrosi sono emerse idee, melodie, riff che ho appuntato. Ora che la situazione sembra riprendersi, inizio a vedere avvicinarsi il momento in cui entreremo in studio. Il dubbio attualmente è sulla forma da dare alle canzoni, se produrre un vero e proprio album con supporto fisico e libretto, oppure una serie di singoli da distribuire solo in forma digitale, video e simili. Il concept attorno cui ruotano i testi e le atmosfere c’è, è strutturato da tempo e, forse, anche troppo articolato. Alla fine penso che molto dipenderà anche da che tipo di accordi prenderemo con la nuova etichetta.
Grazie a Mario "Hell" Bove, mastermind dei Circle of Witches per la sua franchezza e sincerità nel descrivere con entusuasmo sia i momenti di soddisfazione che le difficoltà della vita del musicista on the road e non solo. L'augurio è che, per una band così valida, le occasioni non manchino per spaccare come la loro musica merita!
Keep on rockin'
Intervista a cura di Alberto Trump



