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Epilogue of Masquerade

TrackList
01. Arctifacts of the damned
02. Corrupting the veil that keeps the mind sane
03. A despicable harvest
04. It once was light
05. Breathing the Whirlwind
06. Instinct of carnivorous mass
07. Stillbirth
08. A wolf in sheep's clothing
09. Celestial Purification
10. Ravenous
11. Walking into a nightmare
12. Bloodline
HATEFUL - Epilogue of Masquerade
(2013 - The Spew Records)voto: 6.5/10
“Epilogue of Masquerade’’ è l’ultima proposta degli Hateful, che con passo fermo e determinato divulga la sua nascita, in procinto di ufficializzarsi questo 25 giugno 2013. Senza giri di parole, si prosegue subito col dire che il genere della band è già di per sé impegnativo: gli Hateful ci presentano, infatti, attraverso la loro musica, un death metal che inciampa spesso e volentieri nelle trappole della monotonia e del ‘già sentito’.
Analizzando i perché di quest’ultime affermazioni, mi sono ritrovata a notare una chitarra ben curata nelle sue tecniche, ma tuttavia poco nitida nelle ritmiche, con distorsioni trite e ritrite da anni. Ciò che evidenzia quanto detto poc’anzi, è proprio la componente vocale: sentita già troppe volte, nonostante si adegui comunque al genere.
Nonostante l’impronta negativa che si può evincere da tali parole, complessivamente dagli Hateful emergono senso della determinazione ( si muovono con idee chiare nel genere) e senso della coordinazione strumentale.
Non a caso i brani risultano essere ben equilibrati tra di loro, in particolar modo i riff e i pattern del basso, che combaciano perfettamente con chitarra e batteria. Quest’ultima ha un impatto molto preciso, ma il suo tecnicismo supera il beat standard dei pezzi, al punto da risultare confuso nei riff quando si ascoltano insieme ai suoni dell’intera band. Enorme presenza di blast beat. Pattern death molto simili a gruppi come Cannibal Corpse e Carcass, quindi più che death metal, possiamo ritrovarci in un contesto quasi brutal death.
Dal punto di vista strutturale ritroviamo un lavoro di missaggio che lascia posto ad una batteria presente e ad una chitarra lead molto mediosa. La mancata innovazione sta nel fatto che il genere stesso è di difficile modellatura personalizzabile, facilmente può non rientrare nei canoni che un genere ha per essere definito tale.
In mancanza di ciò, si potrebbe azzardare un ‘gioco’ di suoni laddove è possibile e laddove sarebbe strategico dal punto di vista attrattivo verso il pubblico. In parole povere: la band, ostentando l’uso eccessivo di stessi riff, stesse distorsioni, stessi finali (gran parte di essi affidati a chours e delay) e stesso comparto vocale (eccetto un brano molto lento e sussurrato, "Stillbirth", dove il basso scandisce al massimo la teatralità e l’oscurità del gruppo), ha forse trascurato il fatto che le introduzioni o i finali di un brano potevano essere intesi e sfruttati come momenti propizi per innovare e stupire il pubblico, senza profanare il genere da loro prescelto, senza risultare l’ennesimo granellino di sabbia sulla spiaggia.
Federica Bovenzi