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A Prelude Into Emptiness [The Tears Path: Chapter Alfa]

CHRONOS ZERO - A Prelude Into Emptiness [The Tears Path: Chapter Alfa]
(2013 - Bakerteam Records/Scarlet Records )voto: 5.5/10
«Ridondante, ripetitivo e noioso»
Complessivamente non un buon esordio quello dei Chronos Zero, quintetto romagnolo dedito ad un progressive scarno e molto scolastico che si ispira ai classici del progressive metal come Symphony X o i nostrani DGM. L'album di esordio, 'A Prelude Into Emptiness', è un concept album che fa parte di un concept più vasto, di una storia decisamente articolata, anche se riprende un sacco di temi poco originali e ne fa un improbabile mescolone pescando da tutte le mitologie cosmologiche ed escatologiche dal Mediterraneo allo Yang-Tze.
Purtroppo se della trama si può dire che tutto sommato è intrigante e suggestiva, il lato musicale lascia un po' a desiderare. Sin dal primo ascolto ho trovato molto faticoso raggiungere il finale del disco e i motivi sono diversi.
Partiamo col dire che la composizione è portata avanti principalmente dal chitarrista Enrico Zavatta, che è anche il membro fondatore e forse da qui nasce la prima pecca: la chitarra è troppo presente rispetto agli altri strumenti e dopo un po' sembra di ascoltare solo quella. Seconda pecca, forse ben più grave e importante: l'intero disco è portato avanti principalmente da patterns ritmici, spesso in tempi dispari, e quasi ubiquitariamente controtempati o sincopati, e purtroppo anche piuttosto banali, e ciò rende l'ascolto faticoso, poco fluido e a dir poco monotono, senza contare il fatto che per un gruppo che dovrebbe fare della tecnica un suo punto di forza, sono anche fin troppo semplicistici; ad aggravare il quadro c'è da dire che in quasi tutto il disco manca uno sviluppo melodico e armonico delle canzoni, dico quasi perchè c'è da rendere atto che alcuni momenti felici ci sono, soprattutto nei brani “The Creation”, “Sigh of Damnation” e “Sorrowful Fate” e coincidono con le partecipazioni femminili di Claudia Saponi e Sara Cusato, momenti in cui si riesce a sentire un minimo di armonia anche grazie forse ad una maggiore influenza del tastierista Giuseppe Rinaldi, lo stesso che per contro rimane un po' troppo in ombra nel resto dell'album è che ha la pecca di usare suoni un po' troppo vintage e poco corposi. La voce, Gianbattista Manenti, già cantante dei Love.Might.Kill., è quasi sempre in ombra e poco presente, e pur disponendo di una buona potenza, poco incisiva e certamente non spicca per le linee melodiche. Niente da segnalare invece per il bassista Federico Dapporto che tiene bene le fila della ritmica, con i pregi e i difetti della stessa.
Certo ascoltare per intero questo album è molto faticoso, spesso si sente la mancanza di qualche bel riffettone di chitarra che faccia semplicemente scuotere la testa. Invece ci si trova ad ascoltare minuti e minuti di riff basati su stop e accenti, incessanti cambiamenti di tempo e di giri, spesso senza soluzione di continuità, classici ed esasperanti assoli macina-note di chitarra, tastiera, e basso come puro sfoggio di tecnica, insomma meglio fermarsi qui. Non si sprofonda solo perchè i Chronos Zero sono comunque un gruppo tecnicamente più che valido, e forse è questo che un po' fa rabbia: che potrebbero fare molto di meglio.
Ora, va bene fare extreme-progressive-phisicist-philosophistic-ed-altre-super-cazzole-metal (questa è soltanto una critica personale all'eccessiva dispersione dei generi nda.), va bene il dire che è un genere comunque impegnato e rivolto ad una fetta ristretta di pubblico già in partenza, ma qui si esagera. Qualunque che sia il genere, non si può mai prescindere dall'orecchiabilità e dalla fluidità dell'ascolto, sacrificandole in nome di una oltremodo sopravvalutata tecnica. Persino i Meshuggah, che sono uno dei gruppi più ostici della scena metal contemporanea, se ascolti una loro canzone riesci a trovare un filo conduttore, una linea, che ti guida nell'ascolto.
L'unico modo che trovo in cui questo disco può funzionare, è l'ascolto di non più di 2-3 tracce consecutive, ma partire dalla prima traccia, e arrivare all'ultima, è veramente dura.
Francesco 'Il Caccia' Cacciante



