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When Darkness Comes

TrackList
- When darkness Comes
- The Conflict
- Die Trying
- Wild Eyes
- Zombi
- Shelter
- Another Man Down
- Fallen from Grace
- Liberation
BUSHFIRE - When Darkness Comes
(2017 - Autoprodotto)voto:
I Bushfire rientrano nell’Italia di Metallo per il rotto della cuffia, essendo di fatto un gruppo tedesco che si avvale del nostro compatriota Vincenzo Russo come bassista.
Per chi non li avesse già conosciuti con i precedenti due dischi, sappiate che siamo di fronte a un quintetto che opera in maniera fieramente “Do It Yourself” da quasi quindici anni riuscendo a conquistare palchi prestigiosi e un piccolo ma attento seguito senza l’appoggio di nessuna agenzia di management o casa discografica. Ci stanno già simpatici, vero?
Quando ho fatto partire la prima traccia ho temuto di trovarmi di fronte al solito gruppo stoner doom noiosissimo che gioca ad assomigliare ai Black Sabbath, con un riff insistito, fraseggi di basso che si fanno sentire, ritmo scandito sui piatti e quel cantato vagamente osbourniano che sembra quasi d’obbligo in quell’ambito. Invece già dalla stessa prima canzone (la title track, tra l’altro…) ho potuto ascoltare con piacere una varietà di dinamiche e umori che ho trovato davvero intrigante. Ho il pezzo in testa da due settimane!
Con un suono fortemente legato agli anni settanta, le cavalcate dei nostri non arrivano praticamente mai a sfociare in un ambito prettamente Metal, ma costruiscono un impasto grosso e potente fatto di barbe folte, tatuaggi, Les Paul raddoppiate, vinili numerati col sangue e un hard blues molto poco italiano.
La cosa più bella di questo album è il modo in cui è stato registrato, prodotto e mixato: ogni strumento trova il gusto spazio, respira, si muove e suona credibile, vero, vibrante e suonato. Un suono piuttosto “normale”, in verità, che in un mondo di produzioni piene di strumenti virtuali e/o ultra editati e compressi è una vera boccata d’aria.
Molto curati nella loro essenzialità anche gli arrangiamenti, con in primo piano le due chitarre che si armonizzano a vicenda in continuazione in un modo che può ricordare i vecchi Trouble, ma in una versione meno drammatica e più canonica. Per il resto niente fronzoli o strumentazione aggiuntiva, solo un pugno di buone canzoni che si fanno ascoltare con piacere per struttura, composizione e (incredibilmente!) varietà.
Il fatto che su tutto si appoggi la rassicurante voce di Bill Brown è uno dei motivi che rende questo gruppo credibile. La sciolta confidenza con cui butta giù le parole di “Shelter”, una bella “ballata” nel senso ampio del termine, ne è la prova. Stessa cosa si può dire per “Wild Eyes”, piacevolmente a metà tra Black Sabbath e Soundgarden.
Altro punto di grande forza persuasiva è la gestione delle dinamiche, del modo in cui ogni strumento entra in scena o si ritrae per lasciare spazio agli altri, rivelando un gruppo davvero molto affiatato ed abituato a suonare insieme in sala prove e sul palco.
Tra una cinematografica “Zombi” (guardate il videoclip!) e una più urbana “Another Man Down” i pezzi si susseguono con naturalezza fino alla chiusura dell’album, affidata ad un brano praticamente strumentale, la lunga ed epica “Liberation”.
Niente di sconvolgente o rivoluzionario: solo un gran bel disco!
Marcello M.