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Demonic Sunset

DEEP VALLEY BLUES - Demonic Sunset
(2019 - Volcano Records)voto:
Dalla Calabria, terra aspra capace fra l'altro di dividere due mari e respingere un maremoto, provengono questi quattro lestofanti delle 12 note. Nati nel 2016, dopo un primo EP autoprodotto ed autoregistrato, sfornano questo cd contenente 8 pezzi dal titolo emblematico "Demonic Sunset".
La cosa che balza subito alle orecchie è il calore tipico del sud che fuoriesce dal lavoro, è l'energia pura della baldanzosità tipica dell'epoca giovanile e tutto il sudore marcio mischiato ad innumerevoli sigarette arrotolate lasciato in sala prove.
Un invito, quello dei catanzaresi, alla più sensuale delle danze macabre, riscaldata da un sole traballante, come in quadro impressionistico, che sta per svanire in un sogno lisergico frutto della fervida immaginazione del buon sopito Castaneda. Un gioco fatto di ombre e luci dove ci si ritrova spesso accecati dalle sonorità talvolta in decadenza romantica post anni 60: è un cortocircuitare continuo di ampio respiro, di un agghiacciante soffocamento implodente in un loop remoto, un rollio di un veliero alla deriva che ti porta soltanto in apparenza ad uno spaesamento, ad una sorta di black out.
Rob Zombie farebbe a gara per accaparrarsi i quattro giovini e far fare loro una sontuosa tournee come spalla.
Ogni pezzo ha in sè un qualcosa di intrinsecamente innovativo: sembra che la struttura armonica, seppur non contorta, sia un continuum spazio temporale evolutivo all'interno di ogni singola traccia. Tutto il lavoro svolto all'interno dell'album risente di questa impostazione e quindi anche l'ascolto è piacevolmente intriso di queste caratteristiche stilistiche. Mi ricordano tantissimo i lombardi No Fuzz dell'amico Mirko Zonca e i suoi progetti successivi ed in parallelo: cambi di intensità, passaggi di batteria che introducono altre atmosfere, assoli che non risultano estranei dal contesto generale. Prova esemplificativa di questi concetti è la strumentale "Lust Vegas".
Il viaggio prosegue e si scivola nell'oblio sulle note di "Orange Yeah": tutta la prima parte dela canzone appare un rotolamento, un lento disgregarsi, quasi uno scioglimento di fronte alla calura estiva del vero sole assassino quello dal pallore arancione. Ma anche in questo pezzo i calabresi riescono a sorprenderci. All'altezza del minuto e 35 secondi netti l'apertura, con stacco di basso Negazione style, verso sonorità più vicine a Glenn Danzig è realmente spiazzante ed al tempo stesso di un piacere assoluto.
I gabbiani ed il soffio del vento preannunciano i saluti. I nostri si congedano con due pezzi meravigliosi, struggenti, corroboranti da ascoltare in cuffia a tutto volume. "Tired To Beg For" è un southern - stoner rorido di gocce di sudore, di schiene spezzate dalle fatiche, una canzone stracolma di speranze e riboccante di illusioni. Stanchi di chiedere ci salutano irriverenti con "Empire" una folk song dal gusto molto americano ma al contempo attaccata assai alle radici della propria terra di origine.
Veramente interessanti; contattarli non costa nulla; tenete sotto occhio le date in giro per l'Italia e se suonano vicini alla vostra zona un salto potete anche farlo perchè non rimarrete delusi.
Leonardo Tomei