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Porrima

POSTVORTA - Porrima
(2020 - Sludgelord Records)voto:
Sì, è vero, la quasi ora e mezza di durata che caratterizza ‘Porrima’ all’inizio può spaventare, soprattutto se consideriamo che è spalmata in sole 5 tracce. Vi assicuro però che ne vale la pena, per cui non temete e lasciate che il vuoto vi accolga.
Porrima, anche nota come Antevorta, era nell’Antica Roma la dea “che conosce il futuro” e, insieme alla dea “che conosce il passato” nonché sua sorella Postvorta, protettrice del parto. Era a loro che le partorienti si rivolgevano per avere parti senza complicazioni. Si dice che fossero compagne della divinità Carmenta o che, in effetti, ne rappresentassero i due volti.
I Postvorta di Ravenna vantano un curriculum niente male, tra cui uno split con i colleghi SednA, e ‘Porrima’ è il tassello finale di una trilogia che comprende ‘Ægeria’ (2015) e ‘Carmentis’ (2017) e che ruota attorno al tema “ciclo della nascita”: nascita, per l’appunto, vita e infine morte. Ed è la morte la protagonista principale di quest’ultimo mattone sonoro, un concentrato monolitico e granitico di sludge, post-metal e doom; di accordi intensi cui si accompagnano squisiti elementi post/ambient, soprattutto grazie alla presenza dei synth. Le influenze di Cult Of Luna e Isis - tra gli altri - scorrono potenti, ma ‘Porrima’ riesce comunque a vestirsi di una personalità tutta sua, che lo rende, e lo dico senza mezzi termini, un disco enorme, mastodontico. E non soltanto per durata.
Non si tratta di un disco di facile approccio, bisogna accostarsi con lo stato d’animo giusto. Se la nascita è un lontano ricordo e la vita è ormai giunta al termine, quello che si può fare è trattare la morte come un viaggio a sé stante, la fine di un ciclo che potrebbe però porsi come inizio di qualcos’altro. Questo vale non solo per chi ci lascia, ma anche per noi che restiamo. Accettare che ciò che amiamo ci verrà portato via e che noi stessi, un giorno, finiremo per lanciarci nell’ignoto è un processo lungo, ed è probabilmente per questo che ‘Porrima’ non poteva in alcun modo essere più breve di così.
Catarsi ed elaborazione sono le parole chiave che caratterizzano tutti e cinque i brani proposti. Se il pezzo d’apertura “Epithelium Copia” ci accoglie con intensità, angoscia e collera, “Aldehyde Framework” chiude il disco con dolcezza e malinconia, accompagnandoci con grazia verso la fine con un tripudio di sintetizzatori e il rumore del frangersi delle onde del mare e della pioggia, in quel moto perpetuo che è caratteristico anche della vita del genere umano sul pianeta; un ciclo che noi tutti viviamo solo una volta ma che è infinito nel suo ripetersi. Sembra quasi che ‘Porrima’ voglia accompagnare l’ascoltatore in un percorso fatto di rabbia, disperazione e infine accettazione di ciò che è stato e del fatto stesso che stia per terminare.
Il disco è un continuum, un lavoro concettuale unico dal quale è difficile estrapolare particolari, ma particolarmente degna di nota è la chiusura di “March Dysthymia”, uno dei pezzi più intensi e coinvolgenti del disco, grazie anche alla parte centrale recitata: “La morte non è niente, sono solamente passato dall’altra parte, come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io, e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro, lo siamo ancora.” Ciascun brano si sviluppa con modalità molteplici, senza rimanere uguale a se stesso, toccando sperimentazioni e crescendo continuamente.
‘Porrima’ ci mette davanti al tema del trapasso presentandolo senza fronzoli, per quello che è: inevitabile, oscuro, spaventoso ed ignoto. Ciò non significa che non sia possibile, con un enorme lavoro su noi stessi e senza avere paura di tirare fuori tutto quello che abbiamo dentro, arrivare a uno stato finale di tranquillità, persino pace. I Postvorta hanno scritto un lavoro monumentale ed è tutto quello che ho da dire, prima di andare ad ascoltare tutta la loro “trilogia della nascita” dall’inizio alla fine. Qualcosa mi dice che finirò in un loop sconfinato, e va benissimo così.
Elisa Mucciarelli