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Lunaris

TrackList
- Till The End
- The Rabbit Of The Moon
- Lunaris
- Under Your Spell
- Enigma
- Wish Upon A Scar
- The Dangerous Art Of Overthinking
- Without You
- Of Birth And Death
- Nameless City
- Enigma (english version)
MOONLIGHT HAZE - Lunaris
(2020 - Scarlet Records)voto:
Non facciamoci ingannare dalla recentissima data di fondazione del progetto Moonlight Haze: dietro a questo nome operano infatti una manciata di musicisti attivi da anni in tutto il nord Italia, che sono riusciti a condensare lustri di esperienza in un distillato dal forte potenziale commerciale.
L’attenzione ad una molteplicità di dettagli anche extramusicali (le divise coordinate, le grafiche, la gestione dei social) è palese e ci dà l’idea di una band che intende proporsi ad alti livelli e in diretta competizione con il mercato internazionale afferente alla loro nicchia.
Siamo nell’ambito di quel pop metal potente, addomesticato e cristallino, pomposo e pompato ma ad alta digeribilità, che nelle sue diverse declinazioni sembra avere un certo successo negli ultimi anni in Europa (Battle Beast, Amaranthe, Delain, Nightwish, Beyond The Black…).
Proprio in nome di una maggiore accessibilità sembra che i Moonlight Haze abbiano con questo secondo album levigato ulteriormente il proprio sound, lasciando indietro le asperità e gli azzardi compositivi più arditi che avevano stupito in occasione del debutto. La sensazione di superproduzione, con una molteplicità di tastiere, pad, programmazioni, effetti e interventi sonori assortiti che impreziosiscono le composizioni, trasmette un’impressione di grande cura il cui merito credo spetti al veterano batterista polistrumentista Giulio Capone. Ah, e ovviamente anche all’imprescindibile Simone Mularoni (Domination Studio)!
Pochi i riff veri e propri all’interno del disco, ancor meno quelli memorabili. Chitarre ritmiche spessissimo in secondo piano rispetto alle tastiere onnipresenti, ma solismo di eccellente livello!
Album immediato, ma anche ricco. I tantissimi approcci vocali diversi (che presumo essere tutti ad opera di Chiara Tricarico), anche se non sempre opportuni, arricchiscono ancor di più la già affollata tavolozza del quintetto che, preda di una sorta di horror vacui, sembra proprio non volersi far mancare nulla.
Il disco comincia con una manciata di pezzi dal chiaro intento raptatorio: durata inferiore ai quattro minuti, strofa trascurabile e ritornello immediato! Operazione riuscita alla grande con “Till The End”, che snocciola alla perfezione tutto il repertorio di un ipotetico “manuale di composizione power pop”. “The Rabbit Of The Moon” racconta la bella leggenda orientale di quel coniglio che offrì sé stesso in sacrificio e così, per aiutarci ad entrare nell’atmosfera, ecco pronto qualche strumentino vagamente etnico, per un giapponismo che sa di autentico come le vaschette di sushi dell’Esselunga. La formula inizia a mostrare i suoi limiti già al terzo brano, che risulta decisamente meno efficace dei due precedenti: interessanti intro e outro folkeggianti, il tappeto di loop e tastiere con vocalizzo lirico/operistico, ma manca quella personalità, quel carattere (quell’idea?) che aveva acceso una scintilla nei brani appena ascoltati.
“Under Your Spell” sembra un pezzo di Laura Pausini, di quelli da seconda metà del concerto, da coro e accendino (pardon, torcia del cellulare!) ondeggiante, ma anche da pausa pipì. [Mi tocca specificarlo ogni volta, ma quando dico “un brano alla Pausini” non intendo necessariamente risultare sprezzante o offensivo!]
Quasi a conferma di quanto detto prima, “Enigma” è il tentativo di trasportare nelle classifiche italpop la musica dei Moonlight Haze, con un testo italiano che privilegia il suono delle parole rispetto al loro significato (scelta legittima e con illustri precedenti, ma un po’ deludente per essere il primo pezzo in lingua madre) e che potremmo immaginare cantato da una qualche artista radiofonica nostrana. O magari da Cristina D’Avena (certo non per estensione vocale, ma per melodie e testi decisamente sì). La canzone presenta però anche elementi alieni al pop, come ampie sezioni strumentali, variazioni, inserimenti vocali simil-operistici e anche un soffuso growl (entrambi un po’ buffi e forse fuori luogo). Gli assoli mi hanno ricordato i Crimson Glory di 'Astronomica'.
Un flautino etnico si riaffaccia su “Wish Upon A Scar”, come a voler sottolineare quell’aspetto folk/acustico/lunare/celtico/fiabesco e calibrare a puntino il proprio target. Ritornello che fa fare su e giù con la testa e ballicchiare, quindi efficace e promosso! Sezione centrale in doppia cassa sparata, vortici di tastiere, un po’ di spazio agli strumenti e poi i ritornelli finali con voce operistica, che mi suscitano quello che chiamo “effetto Therion” (ovvero una visione di Miss Piggy dei Muppet con un vestito di paillettes rosse che canta su una gigante e sfatta torta di crema in uno studio televisivo con luci anni ottanta). Peccato perché per il resto è la canzone con la performance vocale che ho preferito, grazie ad un’aggressività espressiva e credibile, non gratuita o forzata (come mi era parsa su 'Enigma').
Blast beat a tutto spiano su “The Dangerous Art Of Over Thinking” con tanto di growl, scream, e cantati di tutti i tipi, cori e un affastellamento di parti musicali affascinante ma non particolarmente organico, di cui sfugge un po’ il senso. Mi ha riportato a brani come “Time”, dal debutto, per la sua varietà e aggressività. Sembra in effetti una composizione più acerba delle altre, ma forse per questo anche più genuina, più urgente. Sarò stato suggestionato dalla presenza di un batterista/tastierista, ma mi ha anche evocato con piacere qualcosa dei Bal Sagoth…
Con “Without You” si torna a schemi compositivi più canonici e collaudati: un rassicurante power metal (con qualche spezia) ci accompagna per quattro minuti e mezzo senza infamia e senza lode.
È il momento per riprendere respiro con una bella ballata, “Of Birth And Death”, che racchiuda tutti gli elementi più leggeri, sognanti, folcloristici, irish, bucolici e serali, un poco appesantiti da un cantato forse eccessivamente enfatico, soffiato e squasimante, un poco leziosetto. Percussioni, tappeto di tastiere e violini alla Elvenking per un brano che forse avrebbe beneficiato di una maggiore sobrietà.
“Nameless City” accenna il tema musicale con un delicato pianoforte iniziale per poi riproporlo in uno svolazzare di finti archi che ricorda per impeto e raffinatezza una “fazzolettata” al castello del Boss Delle Cerimonie. Composizione lunga e articolata che idealmente chiude il disco (in coda abbiamo la versione inglese di Enigma) in un ipotetico volo a bordo di un tappeto volante sopra ad affascinanti paesaggi di un esotismo più mediterraneo. Un incedere ritmico energico e molto sostenuto, efficaci melodie pennellate con nitore e vocalità operistica a profusione. Con Miss Piggy che oramai ha spiaccicato tutta quanta la torta…
Come dimostrato nelle precedenti uscite (un solo altro album, ma tanti singoli) grande cura per la veste grafica, che continua ad evocare un’atmosfera onirica steampunk ma elegante e moderna, tirata a lustro e dal tocco palesemente femminile.
Sembrano proprio esserci tutte le carte in regola per piacere a molti!
E non fare impazzire nessuno.
Marcello M