Ricerca
Contattaci
Per segnalare concerti o richiederci una recensione delle vostre band, scriveteci compilando il modulo in questa pagina
Accesso utente
Chi è on-line
Anthropocene

TrackList
- Anthropocene Part I
- Heavy Metal
- Those Days Of Our Youth
- The Slow Creeping Creed
- Searching For Walhalla
- Tender Brutality
- Warriors Of The Rainbow
- Hammer
- La Maledizione Dell'Umanità
- Anthropocene Part II
NIRNAETH - Anthropocene
(2020 - Andromeda Relix Records)voto:
Cosa resterà di questi anni 80? Era il titolo di una canzone di Raf al festival di Sanremo datato 1989. Eh sì perchè dopo aver ascoltato questo cd della band bergamasca, sembra di fare un salto nel tempo a quegli anni, per strutture delle canzoni e per il sound proposto. Detto che il combo lombardo (come moniker ma non per la formazione di base che ha subito innumerevoli cambiamenti) nasce nel 1990, ha effettuato decine e decine di concerti soprattutto nel nord d'Italia, ad eccezione di due date in Puglia, ed arriva qui alla terza fatica in termini di stampa discografica, probabilmente per una presenza quasi spettrale di Zemeckis ed i suoi artefizi cinematografici spazio temporali, la band è rimasta legata alle dinamiche musicali di fine anni 80 e inizio anni 90 del secolo scorso: traspare quel senso di leggerezza, di infinita spensieratezza forse per esorcizzare la paura di un ritorno degli "anni di piombo"; il mio è un giudizio di parte, si sa, la parte di chi come me appunto gli Ottanta li associa alle prime libertà, ai baci sulla Vespa, al Metal sparato nello walkman (mostrando dito medio, con conseguente rissa, ai paninari di passaggio) ed alle infinite partite di pallone in mezzo alla strada.
Ma andiamo con ordine e per dirla con le parole di un filosofo tedesco "il nostro tempo preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere. Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la realtà. Anzi il sacro si ingigantisce ai suoi occhi via via che diminuisce la verità e l'illusione aumenta".
E' evidente la volontà di rimanere ancorati a determinati clichè, quindi la presentazione dei pezzi risente di questa impostazione. Il secondo pezzo sintetizza molto bene questo dato (che a mio avviso non so quanto sia involontario o meno): il sound della chitarra, la struttura stessa del pezzo, il ritornello, il titolo, rimandano o vi accolgono, fate voi, nel mondo armonico di sei lustri orsono. Per gli appassionati di deja - vu, per quelli che sono legati mani e piedi alle dinamiche nostalgiche, ai facili entusiasmi derivanti da serate di amarcord, allora sì questo cd può venir bene a quelle serate e soprattutto se prestate orecchio alle tracce classic metal. Vi si può scorgere, però, qualcosa di interessante ascoltandolo tutto questo "Anthropocene" (termine diffuso nel mondo scientifico negli anni 80 -e qui dai- per indicare le cause principali delle modifiche territoriali attribuibili all'attività umana), infatti è nelle canzoni più lente ed atmosferiche che i musici riescono a dar voce a sonorità più complesse.
La lezione decisamente doom dei Black Sabbath emerge prepotentemente nella cadenzata e quasi nostomanica (dei tempi andati, trascorsi) "Those Days Of Our Youth"; molto interessante il cambio di dinamica dopo l'assolo, assolo che è di stampo prettamente iommiano. Onirica e profonda nella interpretazione del cantante, che ricorda molto Dickinson, la ultra terrena "Searching For Walhalla", altra song non troppo accostabile alle sonorità mediamente metal: un altro omaggio comunque al combo inglese suddetto ed anche in questa traccia il chitarrista sfoggia una buona tecnica lanciando nell'etere futuro note singole di pregevole qualità.
"La Maledizione Dell'Umanità" è un mid tempo che appartiene più al campo del Progressive Rock che al mondo strettamente metal. Vi sono delle figure testuali che tendono alla banalizzazione del tema centrale e predominante ("... questa mattina mi sono svegliato e ho trovato il cielo nero impestato..."), tema quello del problema annoso dell'inquinamento e dell'equilibrio fra presenza umana e mantenimento delle evoluzioni naturali. Non che sempre si debba cercare delle trame criptiche o avere l'intenzione di fare sempre un panegirico in sintonia con i nostri illustri cantautori, ma a volte certe tematiche andrebbero trattate con altro spirito liristico. L'incipit del cantato risulta essere oltremodo ossequioso nei confronti della linea chitarristica, tanto ne segue pedissequamente le orme. In piena tradizione prog è lo stacco centrale della canzone dove una narrazione, con stile perentorio, ci ricorda un mondo bucolico, arcaico, rurale nel quale il memento biblico è quello di dare spazio al naturale corso della evoluzione. Degno prologo, a quanto appena descritto, è la song conclusiva che ci radicalizza a quel mondo fantastico, naturale, magico e quasi fatato.
Leonardo Tomei