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Into The Red

TrackList
- Mirror's Edge
- Nemores Dianae
- Lucid Hallucination
- Into The Red
- Invisible Martyr
- I, The Visionary
- The Lake In Winter
bonus track:
8.My Long Journey
DISEASE - Into The Red
(2021 - Autoprodotto )voto:
A pochissima distanza dalla raccolta antologica (recensita qui) che celebra gli oltre venticinque anni di attività, torniamo volentieri a parlare dei romani Disease e del loro nuovo album “Into The Red”, che ci accoglie fin dalle immagini dell’artwork in un’atmosfera autunnale, infuocata, introspettiva; una lunga passeggiata pomeridiana nei boschi a ridosso della capitale, dove natura, mito e moto favoriscono e stimolano la riflessione e l’introspezione.
La definizione “extreme progressive Metal” che la band si attribuisce è calzante, ma potrebbe far pensare ad un gruppo che fa della tecnica esecutiva la propria arma principale, mentre il quartetto si rivela vincente soprattutto grazie all’abilità nello scrivere canzoni. E lo fa passando da sfuriate death Metal a ritornelli grunge con una disinvoltura ed una naturalezza tali da far digerire facilmente gli accostamenti più arditi. Eh già, anche se gli ingredienti sono davvero tantissimi, nulla appare forzato o gratuito
I riferimenti musicali sono tutti radicati negli anni novanta, gli anni della formazione di questi musicisti, che a distanza di un paio di decenni riescono a distillare quanto assorbito restituendocelo, smontato, digerito e riassemblato, in una forma nuova ma ancora perfettamente riconoscibile. Sono veramente tantissimi i momenti in cui l’orecchio di chi, come me, ha iniziato ad esplorare il Metal in quel decennio, viene catturato da un passaggio, una sonorità che immediatamente richiamano l’emozione di quei primi ascolti. Tanto death Metal europeo, inglese soprattutto, e tanta melodia americana (di quella più interessante, non la solita blueserìa!), uniti al piacere di suonare figure interessanti e complesse, portano a brani anche molto lunghi, ma sempre capaci di mantenere la messa a fuoco sul soggetto.
Un’altra caratteristica interessante del gruppo è la necessità di esprimere tanti concetti, con testi che fremono dalla voglia di dire qualcosa, anche a costo di qualche ingenuità. Si percepisce l’urgenza e la necessità di utilizzare la musica per convogliare un’idea. Come ad esempio il rapporto con la natura e il passato di “Nemores Dianae” o il travaglio interiore della lunga title track.
“Into The Red” è il primo disco che vede Boris (o Loris? La biografia è ambiguamente discorde!) Santini sostituire alla batteria il fratello del leader Flavio Tempesta e devo dire che l’integrazione musicale è perfetta, dinamicamente ricchissima e sempre coinvolgente.
Ho apprezzato particolarmente il brano più breve del lotto, “Lucid Allucination”, che tra thrash melodico anni ’90 (Annihilator?) e Mastodon ci presenta il lato più diretto e aggressivo dei Disease.
L’alternanza tra strofe cantate in growl e ritornelli con voci armonizzate si ripete in quasi tutte le canzoni, ma la cosa non viene mai a noia, proprio in virtù della scioltezza con cui le varie parti sono arrangiate, rendendo le suture credibili anche quando, come in “Invisible Martyr”, i materiali sonori sono molto eterogenei.
Se i quasi dodici minuti di “Into The Red” non vi sono bastati, siete pronti a tuffarvi in “I, the visionary”, di poco più breve. Ma se nella prima, dopo una lunga serie di cambi e variazioni, il pezzo si siede negli ultimi quattro minuti su una coda strumentale soft, la seconda “suite” si propone praticamente divisa a metà e la prima sezione a base di melodia e blast beat (batteria grande protagonista!), cede il passo alla vera sorpresa dell’album: un inatteso quanto gradito cantato in italiano! Con un testo tra italo prog ’70 e Luciano Ligabue, una dilatata cantilena di tre/quattro note si gonfia in una epica cavalcata davvero coinvolgente. Spero che il gruppo continui ad esplorare questi territori, dato che il loro impeto comunicativo potrebbe sfogare la sua verbosità molto bene, in lingua madre! L’abilità di Flavio consiste anche nel trattare gli accenti, la sillabazione e la metrica dell’italiano senza forzature musicali esterofile. Ho molto apprezzato.
La chiusa ufficiale del disco è affidata a “The Lake in Winter”, dove tornano il lago (di Nemi, presumo) e il tramonto in una specie di ballad affidata interamente alla voce dell’ospite Valeria Dori (con la doppia performance vocale posizionata agli estremi stereofonici, con effetto vintage e un po’ straniante) che fa un buon lavoro, trattando con rispetto e sobrietà la canzone, senza inutili leziosità.
Abbiamo anche una bonus track, già presente nella succitata raccolta, che è un remake della loro stessa “My Long Journey” del 2005. Nonostante struttura e arrangiamenti siano molto simili all’originale, è innegabile che la scintillante produzione moderna illumini il brano restituendone il pieno potenziale.
In chiusura di tutte queste belle parole mi sento di dover aggiungere che, laddove le sonorità dei Disease hanno destato in me reminiscenze emozionanti, per speculari motivi anagrafici potrebbero risultare datate, poco appetibili per le nuove generazioni e decisamente poco al passo coi tempi sotto vari aspetti. Ma credo anche che, come dimostrato dalla bonus track, le buone canzoni siano senza tempo. Solo le vostre orecchie potranno risolvere il dubbio.
Marcello M