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Don't Close Your Eyes

TrackList
- Dead Bodies
- Don't Close Your Eyes
- Earth Decay
- Falling Tears
- Mate Feed Kill Repeat
- Paralyzed
- Seventh Circle
- Sickness
JUMPSCARE - Don't Close Your Eyes
(2019 - Autoprodotto)voto:
I napoletani Jumpscare sono solo una delle tante realtà che hanno deciso di trarre qualche vantaggio, a livello di esposizione, dallo sfruttamento dell’anniversario dei settecento anni dalla morte di Dante, il poeta-iniziato più saccheggiato, citato e “omaggiato” di sempre. In particolare, i nostri ragazzi decidono di lanciare una linea di merchandising dedicata al Sommo, in virtù di una citazione del canto XII (settimo cerchio, il fiume di sangue bollente Flegetonte e i suoi allegri bagnanti…) contenuta in un brano del loro primo album di due anni fa. La copertina che vedete riprodotta qui a fianco (che rievoca grossolanamente le celebri incisioni di Doré) è quella dedicata proprio al singolo in questione, “Seventh Circle”, ma cogliamo l’occasione per riascoltare l’intero album “Don’t Close Your Eyes”.
I Jumpscare propongono una specie di Death Metal melodica, moderna, pop, quadrata, semplice, pulita e farcita di tastiere che omogeneizzano il tutto e sample (tanti “boom” di sub-bassi) che tentano di restituire un poco di dinamicità ad una registrazione poco palpitante. La scarsa vitalità appena tirata in causa non è da imputare a scarse capacità tecniche o esecutive, dato che l’esperienza e la perizia non mancano di certo, ma ecco… sembra esserci molta competenza e poca consapevolezza. Mi spiego meglio: i brani funzionano, l’ascolto è piacevole, sulla carta è tutto in regola, ma il risultato è così prevedibile e già sentito da perdere quasi ogni “pericolosità” e interesse, al punto che mi chiedo in quanti, finiti i trentatré minuti, abbiano l’urgenza di schiacciare di nuovo “play”. Oltre alle scelte un pochino standard in ambito di composizione e arrangiamento, viene meno anche quella parte espressiva e pulsante, irregimentata in un sound metronomico, molto disciplinato, ma anche un pochino rigido e asettico. Il growl di Ciro Silvano, ad esempio, è tecnicamente perfetto nel declinarsi in tutti i cliché del genere, ma dopo poco passa inosservato e innocuo come un rumore di fondo, incapace di un reale coinvolgimento emotivo, come purtroppo tanti suoi colleghi.
Ma veniamo alle canzoni, che non sono certo mal fatte: l’iniziale “Dead Bodies”, ad esempio, col suo incedere massiccio e rettangolare, dosa bene le aperture dei tappeti di tastiera dimostrando di conoscere “le regole del gioco” ed abbiamo anche l’arrivo di uno squarcio melodico con un apprezzabile e conciso assolo che chiude il tutto.
La title track spicca sul resto delle composizioni a partire dal riff saltellante e immediatamente accattivante (in effetti è il ritornello…) e, dopo una strofa trascurabilmente standard e un rifffing in salita dal gusto thrash, esplode nel momento più emozionante di tutto il disco, quell’epicissimo “Rise! Rise! Rise!” che davvero resta impresso e accompagna il brano verso una conclusione appassionante, che purtroppo sfuma in fade out…
“Earth Decay” colpisce per il fatto che non un singolo riff riesca a scostarsi dalla mediocrità del già sentito, anche se gli assoli, ancora una volta, riescono a catturare l’attenzione, fino a lasciarci coinvolgere nella melodia malinconica dell’ultimo ritornello.
Un arpeggio di chitarra pulita introduce la cadenzata marcia di “Falling Tears”, che su un insistito di cassa dipana accordi ampi e siderali. Poi strofa in staccato e ritornello melodicissimo a suon di fraseggi armonizzati per terze, che funzionano sempre nel restituire quell’atmosfera nostalgica che a noi metallari piace tanto.
Più battagliera “Mate Feed Kill Repeat”, che batte terreni diversi ma ugualmente trafficati, in un tripudio di riff, ritmi e crescendo epici di tastiere che di sicuro avrete già sentito altrove.
Per non farsi mancare nulla, “Paralyzed” gioca le carte del groove e le mischia con un ritornello che la darebbe via a tutti (senza grosso successo), sprazzi up-beat, un breakdown rallentassimo e uno dei più grotteschi cori “Hey! Hey!” che si siano mai ascoltati. Mah…
La canzone protagonista della ricorrenza dantesca, la già citata “Seventh Circle”, deve la sua memorabilità esclusivamente alla breve sezione narrata:
Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia".
Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
Ok, il merito non è loro, ma almeno riescono a non scadere nel ridicolo e a concludere il pezzo con una orchestrazione epica e credibile.
Chiude il dischetto “Sickness”, che pare confermare tutto il discorso iniziale e, senza infamia e senza lode, forte del suo fraseggio maideniano, porta a casa la giornata, da onesto artigiano manifatturiero del Metallo.
Marcello M