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Into The Deep Black

DARK REDEEMER - Into The Deep Black
(2021 - Music For The Masses)voto:
Quelli che fino a pochi anni fa erano conosciuti come Aleph, hanno deciso di abbandonare i sentieri intricati del loro Death Metal progressivo ed atmosferico per buttarsi a capofitto nelle radici schiette e veraci del genere, cambiando nome e immagine. Capitanati dal veterano Dave Battaglia, i Dark Redeemer scelgono di riappropriarsi del suono dei loro eroi di gioventù, quando il Death Metal era un’avventura pionieristica e ogni gruppo lo interpretava alla propria maniera e bastava un suono per identificare capiscuola e correnti ben definite, stilisticamente e geograficamente. E in questa operazione tributo si fanno riconoscere subito quelle chitarre granulose “inventate” in Svezia, che abbiamo imparato ad amare grazie a Entombed, Dismember, Carnage e compagnia, unite ad un growl atipico, vecchio stile, che, pur ricordando un poco Fantozzi con la patata in bocca, ha anche nobili ascendenze (Tom G. Warrior, L.G. Petrov…)
Non renderei onore al gruppo, però, se non riconoscessi, oltre al palese intento emulatorio, anche il tentativo di realizzare qualcosa di originale, come l’inserimento di un tastierista fisso nella formazione. E secondo me lo fanno in maniera intelligente, rifuggendo le pompose orchestrazioni sinfoniche e preferendo l’uso sobrio di synth piacevolmente datati, atmosferici e dai fraseggi inquietanti, che evocano direttamente i primi Nocturnus.
Ma unire alcune vecchie idee altrui è sufficiente per sfornare un grande disco? Beh, il tiro c’è, l’attitudine pure e, quando i nostri centrano il pezzo, il risultato è davvero convincente! Ad esempio “Into The Deep Black”, con i suoi momenti dilatati, quasi teatrali e declamati, alternati a sparate irrefrenabili fino ad un finale evocativo e drammatico, è davvero una buona canzone! Il brano di apertura “TMC” sembra un out-take di Clandestine e “Swallow the Cross” è una palude doom infernale che scatta subito in una disperata corsa nel fango, guidata con sicurezza da Manuel Togni, batterista perfettamente a proprio agio nel genere e capace di imprimere ai brani quegli indispensabili elementi di riconoscibilità. Interessante il tentativo di ritornello “quasi melodico” di “Killing Ritual”, uno dei brani più dinamici e riusciti dell’album, col basso distorto che prende possesso delle aperture più cadenzate come un ragno che cammina sulla tela. Le mitragliate iniziali di “Christians” fanno sperare in qualcosa di devastante, ma alla fine è “solo” l’ennesimo brano ben fatto, che intrattiene piacevolmente e se ne va senza lasciare grossi vuoti.
Noiosetta ma evocativa la “Zombiemarch”, che carica tanta aspettativa senza mai un’esplosione che la soddisfi, fino alla deludente conclusione in fade out. Peccato. Finale col botto grazie a “Burn Under The Blackened Sky”: epica, feroce, selvaggia nei suoi insistiti di timpani, pulsante e apocalittica come ci si aspetta dal pezzo di chiusura.
Molto gustoso il suono d’insieme, con la pasta delle chitarre che lascia perfettamente udibile il basso, e una batteria molto naturale che dona dinamica e respiro al tutto. Piacevole la ricca presenza di momenti rallentati e suggestivi che sembrano scippati agli Autopsy di Mental Funeral. In effetti, ora che ci penso, pure le parti veloci ricordano molto il gruppo di Reifert, in versione ipervitaminizzata…
Un disco che lascia soddisfatti, ma soddisfatti a metà: tutto è fatto bene, suonato alla grande, con un’estetica ben focalizzata e un’atmosfera lugubre credibile e coinvolgente, eppure non c’è un solo riff che faccia veramente entusiasmare, dato che tutti i momenti “migliori”, quelli che fanno rizzare un poco le orecchie, sembrano semplicemente riecheggiare “gli originali”, quei favolosi dischi che ci diedero un vero brivido, più o meno trent’anni fa.