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Like Shadows

EFYD - Like Shadows
(2021 - Metal Scraps Records)voto:
E' strano notare come, nella presentazione dell’etichetta discografica, gli EFYD vengano proposti come una "Oldschool Death Metal band", sciorinando come ispirazione tutti i classici e amati nomi della prima scena death/thrash. Ma, se è vero che buona parte dell’immaginario ritmico e melodico del trio attinge da quelle radici profonde, sarebbe decisamente improprio limitare la band nella piccola grande nicchia del revival, ignorando la varietà e ricchezza di spunti che si vanno ad impastare canzone dopo canzone. Ad essere sincero fino in fondo, a venirmi alla mente al primo ascolto a scatola chiusa non è stata certo la scena della Florida anni novanta e neppure quella thrash bay area, bensì quel grindcore che si tinge di avanguardia incorporando elementi noise, inquietanti, schizofrenici, sinistramente o beffardamente melodici. La libertà con cui i tre lombardi mischiano tutto ciò, rende i quaranta minuti dell’album un ascolto sempre intrigante, dove quasi ogni canzone propone qualcosa di diverso, riuscendo nel singolare equilibrio tra immediatezza, riconoscibilità e varietà. I passaggi più classicamente Death Metal vengono riqualificati proprio grazie all’inserimento di sezioni anomale e impreviste, conglomerando un torrone dalle molte, croccanti sorprese spaccadenti.
La produzione, dal suono pulsante e vivo, richiama un’attitudine hardcore che infonde la necessaria freschezza e genuina credibilità alla proposta.
“Suffer-Die-Rot” emerge da un’intro psichedelicheggiante come una scheggia Thrash caratterizzata da riff iconici e memorabili, col basso tentacolare di Luca Maccalli che si propone come protagonista in una canzone che riesce a farsi amare fin dal primo ascolto.
Cambio di atmosfera per “The Tinkling of Chains”, dove un approccio chitarristico più alternative (quasi grunge!) non impedisce ritmiche dal grande impatto e groove. Un brano pieno di idee, dall’inizio alla fine, che riescono a tenere in piedi alla grande la composizione anche in assenza di grandi riff.
Introduzione da manuale del Death Metal per “Dementia Process”, con gli stacchi basso batteria dalle note intercambiabili. Lo sferragliare delle corde prosegue, tra accelerazioni e rallentamenti drastici.
Introduzione oscura e maligna, col rullante dal riverbero rovesciato (veeeeery Metal!) per “Anger Burn Inside” che devia presto in una specie di valzer sgangherato dove abbiamo un’ennesima prova del drumming eclettico di Marco Recanati: esplosioni grind e un finale entusiasmante!
Sempre in bilico tra dissonanze, riff efficaci e melodie acide, la chitarra di Francesco Guadrini (anche cantante) macina mitragliate velocissime e lenti grattugiamenti con grande naturalezza. Nella title track, ad esempio, la ritroviamo marcia e impertinente sopra ad una ritmica martellante, intenta a cucire un improbabile frankenstein, piuttosto minaccioso ed incazzato.
Qualche soluzione che si ripete la troviamo in “Fucking Glory”, che però cattura con i suoi stop’n’o e la breve durata.
“Evocative”, nonostante il titolo, non ha nulla di sognante o etereo: è una breve, letale, mazzata. Sempre all’insegna della velocità anche nella successiva “Devastate On Me”, ed è un piacere sentire le capacità tecniche applicate in maniera non pirotecnica, ma molto concreta. Bello il rallentamento sul finale.
Il disco chiude con il fraseggio quasi sbarazzino di “Among the Arid Peaks”, che ancora mescola furiosi blast beat a un riffing diagonale e straniante.
Ho trovato con piacere in questa band quella freschezza di idee e quell’urgenza comunicativa che troppe, troppe volte mancano in dischi che non hanno granché da dire. Il nostro underground è vivo e vegeto proprio grazie a gruppi come questo.
Marcello M