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Of The Sun

CULTØ - Of The Sun
(2022 - Time To Kill Records)voto:
CultØ nasce come un progetto personale ad opera di Dave che, pur avendo scritto tutta la musica, tiene per sé il solo ruolo di cantante ed arruola altri talentuosi musicisti lombardi, proponendosi come una vera band.
Quando ho letto nella biografia che il suono del loro Death Metal “arriva direttamente dal Göteborg sound anni '90 (In Flames, Dark Tranquillity, etc.)”, ho pensato che avrei rivissuto parte di quell’entusiasmo provato vivendo in tempo reale (all’epoca) quella scena: la frenesia melodica, folkeggiante e maideniana delle chitarre che si intrecciano, l’epicità, gli stacchi folgoranti, i blast beat…
Non avevo fatto i conti coi quasi trent’anni passati e non è certo colpa del CultØ se le mie aspettative sono state disattese da un approccio molto più moderno e inquadrato. Del resto, il Death Metal di oggi è una bestia che è stata domata, nel bene e nel male.
Lasciando da parte le mie malinconie, copertina, logo e titoli sono di indubbia potenza suggestiva e fanno subito pensare ad un’identità forte e definita. Al primo ascolto, però, nonostante il riffing solidissimo e la martellante potenza, ho avuto una sensazione di pesantezza di ascolto dovuta più alla noia che alla heavyness. Se fosse stato un ascolto casuale probabilmente non avrei proseguito con i molteplici ascolti che merita ogni disco che venga recensito. E avrei sbagliato, perché mi sarei perso qualcosa. È vero, la voce onnipresente e un po’ monocorde, la batteria sempre sparata al massimo e i riff abbastanza ordinari (all’interno del genere) sono un deterrente, ma al decimo ascolto mi sembra di poter dire che le composizioni hanno un loro perché. E anche una loro dinamica, rimasta però schiacciata da una produzione molto pompata, che privilegia l’impatto rispetto alle differenti tensioni e intensità che avrebbero valorizzato il lavoro di scrittura. Sì, perché quello che emerge è una forte necessità narrativa: Dave ci vuole e si vuole raccontare e sembra che i testi stessi abbiano determinato le strutture delle canzoni. Ne emerge un concept bello pretenziosetto, ma che con il suo idealismo adolescenziale assolutista ben si accompagna a questo suono di fragorosa epicità. Molto egocentrato, è vero, con tante sentenze del tipo “io faccio questo, io faccio quello, io sono qui, io sono là…” neanche fosse un testo hip hip (o dei Manowar). Ma quando si parla, identificandocisi, di stelle che esplodono diventando divinità creatrici e distruttrici, sono cose che capitano.
Mi è piaciuto l’attacco senza fronzoli dell’opener “Flare”, dotata anche di un ritornello super efficace in doppia cassa, melodico e solenne.
La lunga “Experiment 1” parte bene, con un riff galoppante e coinvolgente e ha nel ritornello, rallentato e accompagnato da una melodietta alla Bolt Thrower, un suo punto di forza, così come i ganci in cui canta “Rise, rise, rise!”, ma tanti altri passaggi sono davvero privi di mordente. “Excrete” propone un ritornello più groove, che però stenta a decollare, stretto nella sua griglia metronomica. I riff sembrano presi da un campionario scandinavo, ma Ema e John li macinano che è un piacere. Sedici battute di assoli, la seconda metà delle quali con un inaspettato sapore hard rock, farciscono “Frost”, dove un instancabile Panta propone ritmi tanto martellanti quanto logori.
A rendere interessante “The Desert Of Shadows” è la sua matrice doom, interrotta nella parte centrale da una sezione poco interessante con assolo incluso, per poi regalarci un gran bel riffone che avrebbe meritato più protagonismo, ma serve solo ad accompagnarci alla coda, disperata e finale.
L’incipit vocale di “Void”, con il suo delay rovesciato “I, I, I, I…”) cita la mitica “Eyemaster” e con il suo incedere battagliero ci regala alcuni dei riff migliori di tutto il disco, con due minuti e quaranta strappati direttamente a quella Svezia citata all’inizio. Bello! Peccato per l’addomesticamento ritmico della griglia.
“The Ashes Of Annihilation” è una dimostrazione di forza e doppia cassa, a cui viene concesso riposo solo nei ritornelli maestosi e altisonanti. Belligerante.
La voglia di verbalizzare di Dave è tale che in ”Darkness Leads To Light” la sua voce precede l’entrata degli strumenti, canta su quattro dei cinque minuti della canzone e prosegue pure oltre la fine del pezzo! Scherzi a parte, l’attacco è efficacissimo e il brano in continua tensione.
Chiude l’album una gustosa “Fire From Inside”, ricca di caratterizzazioni ritmiche. Oltre alle melodie svedesi e un po’ prevedibili, il vero punto forte del brano è l’insistito centrale che precede e accompagna l’assolo, proponendo un’atmosfera musicale inedita e gradita. Sicuramente uno dei brani migliori, se non decisamente il meglio riuscito.
Per quanto riguarda la produzione, una menzione di apprezzamento particolare la vorrei dedicare al basso di BT, schioccante e sonoro, capace di farsi sentire sempre.
Marcello M