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Oscuramenti

PADUS - Oscuramenti
(2022 - Broken Bones Records & Promotion)voto:
Seguo il lavoro di Padus dalla prima release, “Diva Sporca”, e possiedo fieramente in formato fisico le sue 6 opere, ciascuna arricchita dall’artwork eseguito da Matteo Zanella, titolare unico del progetto, in olio su tela (ovviamente le cover dei CD ne sono una riproduzione fotografica).
Ho ascoltato e ascolto con piacere molte “one man band”, soluzione che lega invariabilmente il risultato finale ad una visione coerente e coesa, in quanto figlia di un’unica mente. Ma nel panorama di questo genere di proposte, il lavoro dei Padus si pone come un unicum in quanto difficilmente ricollocabile nei canoni di un sottogenere di metal. L’esperienza e il lavoro di Matteo Zanella è cantautoriale a tutti gli effetti, riconoscibilissimo per alcune fondamentali caratteristiche fondative del sound dei Padus, ma meravigliosamente estraneo a qualsiasi canone codificato di metal (più o meno) estremo.
La proposta, cantata in italiano con un approccio vocale del tutto peculiare che, in qualche misura rimanda ad quel “cantilenare” che è stato tratto distintivo dei CSI, ma in una variante austera e grave che sfiora il ritualistico e l’evocativo. I testi, ma bastano i titoli in effetti a dare un’idea, riflettono un nichilismo sprezzante che tratteggia ed esplora il lato oscuro e decadente dell’essere umano.
Ma veniamo alla musica: un dark-doom metal con influenze noise e industrial, retto da un basso distorto, sinth ed effettistica, e una batteria (credo) programmata.
Sì, avete letto bene: niente chitarre.
Solo un basso distorto di una distorsione d’altri tempi. Il genere di saturazione ruggente che monta e vibra come una marea che sgorga dai coni, quel genere di distorsione che è stata caratteristica delle sonorità di Hendrix.
I sinth rimandano sovente a quelli degli Opera IX e ai lavori di Paul Chain, infondendo una sacralità blasfema in controcanto al ruggire del basso che inanella un riffing che rifugge la forma canzone, sviluppandosi in un “flusso di coscienza”, una sorta di esplorazione del suono in divenire. Uno stato di trance esecutiva che rimanda alla “scrittura automatica”, come se il Nostro fosse effettivamente posseduto da visioni/intuizioni che trascrive con il furore di Erich Zann. Il fatto che Matteo Zanella sia un pittore non è un incidente di percorso: in un certo senso le partiture che esegue sono pennellate, ora meditabonde, ora furiose.
Non mi stupirei se le sue canzoni fossero effettivamente degli “appunti di viaggio”, delle take prese a tarda notte, davanti ad un camino che arde con un bottiglione di robusto vino rosso ad intermezzare la tracklist. Un Guccini misantropo intento a trascrivere le sue ballate oscure accompagnato dal basso collegato ad un vecchio ampli a transistor con il gain al massimo. Un basso suonato con crescente perizia e con uno sguardo sempre più solido a partiture di psichedelia settantiana.
Che dire della sezione ritmica, ovvero della batteria. Le partiture sono riconducibili a quelle cadenzate dei Godflesh, anche se assumono a tratti caratteristiche “bandistiche” dato che raramente hanno il senso di un classico, per quanto rarefatto, accompagnamento batteristico. Non di rado, in particolare ascoltando quest’ultimo lavoro, ho avuto la visione di una processione di anime dannate intente a percuotere cimbali e grancasse e rullanti in una pandemonica marcia trionfale attraverso paesaggi da incubo, guidati da un pifferaio folle che soffia le proprie disarmonie in un basso elettrico.
Rispetto alle opere precedenti, del cui recupero unitamente a questa non potete sottrarvi, non foss’altro perché sono tutte disponibili gratuitamente su youtube (l’edizione fisica è quasi sempre in tiratura limitatissima), 'Oscuramenti' propone alcune novità, oltre ad una maggiore stratificazione dell’interazione tra basso distorto e sinth che qui vengono utilizzati a tratti anch’essi distorti a costruire un contrappunto alle linee principali del basso.
La prima è l’abbandono del cantato tradizionale a favore dell’utilizzo del Grammelot, tecnica di vocalizzazione cara a Dario Fo che evoca l’espressione di parole ma in effetti si tratta solo di una sillabazione riempita di un’intenzione. Cosa che provoca nell’ascoltatore la “traduzione” in parole di quello che Matteo Zanella declama. In “Lucifero” ad esempio io ho sentito distintamente i versi: “figli demòni/figli bastardi”. Ma qui credo che l’abbia proprio detto.
Succede anche in “Invasione ed Assalto”, una singolare deviazione punk in stile CCCP dal suo classico dark/doom , dove mi sembra di percepire uno slogan politico sorretto da un riffing incalzante e una ritmica di batteria più canonica (lavorare/tribolare/divorare/telefonare/energia nucleare). Agghiacciante, in senso positivo ovviamente, l’intermezzo di sinth distorto che prelude ad una ripresa in cui la voce si libra in un vocalizzo che ricorda qualcosa dei Bauhaus.
Come a voler bilanciare questo slancio di entusiasmo, arriva “La bara nera”, strumentale rallentatissimo con cui Padus ci ripiomba in un doom ancestrale che omaggia i Black Sabbath degli esordi.
Una nota di merito all’apertura di “Megera” in cui ad un arpeggio di basso fa da contrappunto un sinth distorto a tessere una melodia degna di una marcia nuziale demoniaca.
Il resto della tracklist ve lo lascio scoprire da soli, bisogna toccare con mano per capire di che grana sono fatti i Padus. Una grana ruvida che vi scorteccerà l’anima e vi lascerà soddisfatti e nudi come le vittime dei Supplizianti di Barker.
[samaang ruinees per italiadimetallo]