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Lucifer

TrackList
- Babylon's Garden
- Lucifer
- Damnation's Ballad
- Paradise Lost
- Morning Star
- Venus
- Shelter
- The Seal
- Man In The Dust
- Myself
FENISIA - Lucifer
(2012 - Autoprodotto)voto: 7.5/10
I Fenisia si presentano subito come una band ambiziosa e dalle idee molto chiare, mettendo a fronte un sound definito e una bilanciata composizione dei brani. L’album proposto è “Lucifer”, secondo lavoro del quartetto e frutto dunque di una maturazione che negli anni ha permesso nuove vie di sperimentazione. Lo stile è molto improntato sul Southern Rock, con sonorità vicine a quelle dei Black Label Society del mitico Zakk Wylde. I brani sono ben strutturati e la loro esecuzione rimane sempre su livelli medio alti, inoltre la produzione pulita e compatta contribuisce a valorizzarne l’ascolto.
L’album inizia con Babylon’s Garden, un pezzo non troppo di punta e che personalmente non avrei messo come canzone d’apertura. La partenza è buona: un bel gioco tra tom, chitarra e basso, funge da apertura per un breve intro che dà il via a una strofa cadenzata e serrata, il tutto risulta orecchiabile ma non abbastanza accattivante.
Sulla stessa linea ma di maggiore impatto seguono “Lucifer” e ”Damnation’s Ballad”. Le canzoni si appaiano per struttura e sonorità e sembrano avere una marcia in più rispetto alla song di apertura. Lucifer ha un bel giro di chitarra che accompagna una strofa in coro alla quale si contrappone una voce effettata, preambolo di ritornello volto ad aumentare il ritmo del brano. Sono buoni anche i due intermezzi solisti, inseriti con moderazione e musicalità.Damnation invece si caratterizza più per le sonorità hard rock e per il ritornello orecchiabile, proposto ripetutamente durante tutta la track.
Paradise Lost è il 4° brano e secondo me quello più originale e riuscito di tutto l’album. Inizia con un cantato che miscela malizia e serenità, melodia e passione, scorrevole lungo tutta la stesura del pezzo che, coerentemente all’interpretazione vocale, procede liscio e piacevole. Si riparte con “Morning Star”, che senza troppe introduzioni parte decisa e incalzante! Il riff portante è parecchio interessante e durante tutta la ritmica è ben accompagnato da piatti e rullante. Il ritornello è molto bello e non scontato frutto di precisi e serrati incastri tra strumenti e voce, inoltre la scelta delle parole né facilità la memorizzazione. “You break you cry” “you live by your lies”.
Anche “Venus” apre in maniera pesante e con un cantato in pieno stile Southern Rock. A tirare su la media del pezzo è senza dubbio lo stacco strumentale a metà canzone: questo si distende lungo l’arco di un minuto, in maniera naturale e curata, con tanto di assolo in progressione e arpeggio finale con flanger di chitarra che reintroduce a pennello la voce.
Non potendomi dilungare troppo, chiudo dicendo che tra i quattro pezzi rimanenti è degno di nota “The Seal”, il quale trasmette una sensazione mista di allegria e consapevolezza; particolarmente buona la prova del cantante che in alcune parti ricorda timbricamente quello dei Pain Of Salvation. Direi che il lavoro proposto è molto valido, speriamo di averne altri al più presto.
Paolo Prosil