Voto: 8
Tre, come il numero delle lettere che compongono il titolo della nuova fatica, tre come il numero di album concepiti. Nella credenza popolare si dice che il tre sia il numero perfetto e simboleggia, nel caso dei Renegade, il raggiungimento di quel fatidico traguardo che per ogni band rappresenta la prova del nove, quella del bene bene o male male. Per i ragazzi fiorentini il destino sembra arridere all’ipotesi positiva del caso. Partiti con un album di debutto fortemente derivativo e debitore in larga scala al sound dell’amore di sempre, ovvero i Maiden, il combo toscano attraversa a piene vogate lidi più hard’n’heavy con “Straight To The Top”, un album più sicuro dei propri mezzi, primo tassello di una certa maturità compositiva che andava stagliandosi col tempo e che ora aggiunge un ulteriore tassello con “W.A.R.”, l’acronimo che sta a significare We Are Renegade, ma che può significare anche guerra, un termine che può sposarsi bene con lo spirito dello stesso album, giacchè i Renegade concepiscono un platter, in cui esordisce il nuovo bassista Alessandro Tassini, molto più duro e aggressivo rispetto al precedente, più “straight to face”, un ritorno se si vuole in parte a quelle che erano le sonorità metalliche del debut album ma stavolta senza pagare dazio alla band di Steve Harris, anche se comunque le influenze della NWOBHM sono un punto di riferimento importante per gli Ammananti Brothers e soci anche in questo cd, ma senza essere l’opera centrale delle loro canzoni.
L’iniziale “First Blood” richiama il tratteggio maideniano soprattutto nel cantato dell’ugola di Stefano Senesi e nel riff di apertura della song stessa, ma che il giovane act abbia cercato di lavorare in maniera più personale sulle proprie composizioni lo si evince già con la ritmata “Masquerade”, aperta da un sostegno incalzante della doppia cassa di Andrea “Kid The Hurricane” Ammannati e da chitarre graffianti, sulle quali fa il suo dovere il sempre ottimo Senesi, che attacca con virilità le note del pentagramma senza alcuna remora, mentre il lavoro di riffing del duo Roberto Mannini – Damiano “The Viper Tiger” Ammannati si rivela efficace anche in fase di assolo. La band lascia per un momento le pressanti sonorità metalliche per gettarsi nel passaggio hard’n’heavy di “Wired” buon mid tempo con un ritornello facilmente ricordabile che viene esasperato dalla squillante sirena di Senesi nella parte finale.
Si ritorna a macinare chilometri nella frenesia della veloce “Under My Skin”, dove il drumming impazzito di Andrea Ammannati spalanca la strada agli attacchi guitar vintage di The Viper Tiger e Mannini, su cui la voce di Senesi trova terreno fertile, ma che non è il solo campo di battaglia su cui il vocalist gigliato si sa distinguere, giacchè nella malinconica “Where Time Stands Still” fornisce una più che buona prova melodica, a dimostrazione di come la sua voce sà adattarsi sia a momenti di vera follia che a momenti più introspettivi come nel caso di questa semiballad dai tratti rabbiosi e nostalgici, dove si sa distinguere anche il duo Mannini – Ammannati sciorinando assoli pregni di passione e melodia intrinseche. Un inizio che sà di Accept quello di “Wild Days”, che si evolve via via in un hard melodico e corposo, lo stesso di “Burning Highway”, dove la differenza la fanno i ritmi più sostenuti rispetto alla precedente song, e i riffs più taglienti di una lama.
I momenti aggressivi e tirati non sono i cerimonieri assoluti di “W.A.R.” e come già in precedenza dimostrato, i Renegade sanno darci sotto anche con le atmosfere più introspettive, e del compito di guidare gli animi in sentieri più riflessivi, ne è incaricata la struggente “No Reason in Love”, ballad introdotta da malinconiche note di tastiera, che passo dopo passo lasciano entrare in gioco le chitarre, autrici di un solo da applausi nella parte centrale, e la duttile voce di Stefano Senesi che ben si adatta a tali atmosfere. Una parentesi che ritempra le orecchie prima dell’attacco finale per mano della title track “W.A.R.” , mid tempo scolpito nella roccia in cui vi è riposto tutto l’orgoglio di far parte di una banda di rinnegati, un branco di svalvolati che si prende l’ardire di chiudere a testa alta il disco in maniera “straight” con la rapida “Can Stop The Fire”, ultimo grido di una band che è tornata carica di rabbia e con la voglia di mettere alla prova sé stessa e le sue stesse capacità, sfornando un full lenght dal quale solo un sordo potrebbe non carpire l’evoluzione sia stilistica che compositiva della band fiorentina. Ieri più melodici, oggi più aggressivi…dove vorranno arrivare alla fine i Renegade? Per ora a prendersi un ampio elogio, con la speranza che continuino su questi sentieri ancora a lungo. Can’t Stop The Renegade!
Francesco “Running Wild”
- Anno: 2010
- Etichetta: My Graveyard Productions
- Genere: Heavy Metal