Membrance vengono da Venezia e, nonostante ci tengano a presentarsi come dei giovani cazzoni, in realtà risultano un solido gruppo Death Metal capace di scrivere canzoni di presa immediata e pure di inzupparle in un brodo tematico originale, fatto principalmente di sangue, oscurità e putride acque lagunari.

Insomma, sembrerà incredibile, ma il progetto dimostra di avere un’identità, una riconoscibilità, quel qualcosina da dire, quell’ideuzza in più che, nella desolante omologazione che soffoca anche i generi “controcorrente”, sono delle necessarie boccate d’aria. E per ottenere questo pregevole risultato il quartetto non si mette certo a reinventare il genere o a tirar fuori chissà quale colpo di genio: semplicemente mettono insieme dei riff accattivanti e ci raccontano in chiave Death Metal le storie crude e decadenti di una città che sembrava solo aspettare di essere dipinta in questo modo.

L’uso del (presumo) dialetto veneziano contribuisce potentemente ad alimentare queste suggestioni e, anche se su “Undead Island” troviamo ancora brani legati ad un passato musicale più ordinario e caotico, credo che questo terzo album rappresenti una conquista stilistica su cui costruire qualcosa di rilevante. Che i ragazzi non siano dei letterati emerge con chiarezza leggendone la farraginosa biografia, ma proprio questo dimostra come un’idea, una giusta intuizione possano essere potenti, restituendo inoltre ad un genere musicale quel radicamento popolare che ne rende più credibile il disagio. Lasciando da parte i pochi testi in inglese, ancora legati alle bambinesche iperboli squartatorie, orrorifiche e sanguinolente, i versi in lingua madre si presentano nella loro sintetica (e per me esotica) eleganza come poesie di forte potenza evocativa, offrendo anche una godevolissima cantabilità!

Musicalmente parlando, i Membrance scelgono la strada della semplicità più che quella di uno sterile tecnicismo ad incastri, come dimostra il brano di apertura “Zombie Massacre”, guidato da un riff melodico alla Entombed, seguito da altri più danzerecci. Poi c’è quella grande caduta di stile (che, da sola, mi aveva inizialmente fatto bocciare l’intero album!), la scellerata scelta di inserire il più trito e logoro dei riff metalcore reiterandolo per un terzo della canzone, senza che se ne sentisse il bisogno o se ne intuisca il perché. Almeno, io non l’ho capito…

 

Spirar Nel Caigo” fonde con grande naturalezza riffing alla Autopsy e Black Metal e ci entra dentro grazie ad un fraseggio allo stesso tempo tetro e melodico che sembra destinato a diventare un classico. Fanno anche la loro timida ma curiosa apparizione le squisitamente obsolete tastiere, a cura del già cantante e bassista Davide Lazzarini, che punteggeranno qua e là il disco con pennellate inattese ma mai invasive.

Un plauso al batterista Giovanni De Fraia che, pur avendo scelto suoni fin troppo “finti”, ci consegna una grande performance come strumentista ma soprattutto come arrangiatore, accompagnandoci lungo i brani con un grande “senso della canzone”, essenziale per rendere fruibili e riconoscibili i pezzi fin dai primi ascolti.

 

Una vera hit è “Spetro Malcontenta”, carica di umori old school, Death e crust, epicità e oscurità black e la capacità di regalare passaggi memorabili, come ad esempio gli attacchi delle strofe.

Un estratto da “Morte a Venezia” di Visconti chiude, in un ipotetico passaggio di testimone dalla peste al colera, “1348”, una composizione dove le chitarre death svedesi di Giacomo e Gregorio sono preda di incontenibili rigurgiti classic Metal, poi prese per mano dalla batteria in una ballabile danza della morte e inesorabilmente blastate verso un finale di bubboni, morte e distruzione.

 

I “lupi de sčiuma” evocati in “Marubio” sono un esempio di quella potenza narrativa a cui accennavo precedentemente, capace di materializzare, in questo caso, il terrore che viene dal mare, ugualmente ben espresso musicalmente da quello che forse è il pezzo più tirato e cupo del disco.

Deciso cambio di atmosfera con la cadenzata “Armor Of Hate”, che nonostante qualche bel riff e l’assolo armonizzato lascia un senso di minore efficacia rispetto ad altre canzoni decisamente più a fuoco. Come ad esempio l’ispiratissima e agile “Riva De Basio”, veramente trascinante e dotata di un ritornello (sì, un ritornello!) micidiale. Una vera canzone, divertente da suonare e da ascoltare!

 

A fare il paio, grazie ai suoi riff iconici, abbiamo “Sepolto In Velma”, col ritornellaccio groove e una spruzzatina di Bolt Thrower. Iniezioni di velocità rendono la composizione scattante, e anche se il risultato finale ha un che di squilibrato, l’impressione generale rimane positiva.

Alla ricerca della più archetipale semplicità del Metal estremo, “Stench Of Rot” ci riporta alle radici del Death Metal più primitivo e sanguigno, quello fatto di riff scavati col coltello (ovviamente su un cadavere) in cui quello che apparentemente è il solito testo splatter si tinge di un inaspettato esistenzialismo. Brano che ho rivalutato rispetto ai primi ascolti!

 

The Shores Crumble” conclude il disco con un pastiche stilistico tanto improbabile quanto credibile: vecchio death, black, melodie roccheggianti, stacchi vari, una manciata di riff avanzati (ma non da buttare) e una chiusura scolastica ma energica.

Ci tengo a segnalare che “Dead Island” ha anche una bella copertina, di quelle dipinte per davvero e apposta per il disco, proprio come usava un tempo…

 

 

Marcello M

 

TrackList

  1. Zombie Massacre
  2. Spirar nel Caigo
  3. Spetro Malcontenta
  4. 1348
  5. Marubio
  6. Armor of Hate
  7. Riva de Biasio
  8. Sepolto in Velma
  9. Stench of Rot
  10. The Shores Crumble
  • Anno: 2023
  • Genere: Death Metal
  • Etichetta: Extreme Metal Music / Rockshots Records

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