Secondo disco per i romani Frank Never Dies, un quartetto eterogeneo che ci propone un rock dilatato, atmosferico, ciclico, prevalentemente strumentale e con espliciti riferimenti a sapori del passato. Lunghe composizioni in cui i nostri si prendono tutto il tempo necessario ad allargare le loro volute di fumo, insistendo su pattern ritmici ripetuti come in una cerimonia tribale, poggiando spesso su un bordone e con poche, prevedibili modulazioni armoniche e melodiche, tutte all’interno dei canoni e delle consuetudini.

Quindi? Una gran palla?

Eh, non lo nego, effettivamente il rischio c’è, ma se siamo nel mood giusto e riusciamo ad abbandonarci al fascino di queste spirali, veniamo ripagati dallo scoprire una genuinità dal profumo analogico che dona respiro e pulsazione cardiaca a composizioni che mantengono la sensazione di improvvisazione ed esplorazione, pur rimanendo all’interno di un comodo e confortante recinto. Interessante l’uso di sintetizzatori antichi e moderni ad opera di Simona Ferrucci, che fanno tenere a Frank un piede nel passato ed uno nel presente e integrano le calde chitarre intrise di delay di Mirko Giuseppone. Ho apprezzato moltissimo la scelta di dare alla batteria di Luca Zannini un suono realistico, anche se nella sua rigorosa compostezza a volte mi ricorda i batteristi delle “drummer track” di Logic Pro.

Tutte le melodie, che siano assoli o vocalizzi, scivolano dolcemente dalle orecchie, senza che nulla di rilevante permanga o ci faccia venire voglia di essere riascoltato, lasciandoci abbandonati ad un continuo scorrere, privo di scossoni.

Sapientemente gestiti nelle dinamiche, i brani dei Frank a volte raggiungono picchi di intensità notevole e insospettata, che però pare stupire o spaventare pure loro, dato che immediatamente la situazione viene ricondotta a più miti registri.

La copertina è molto suggestiva ed elegante e, nonostante il titolo lunare, è in sintonia con le sonorità assolate e desertico-lisergiche dell’album.

Provano a mantenere desta l’attenzione gli interventi vocali, presenti ad esempio nella title track con approccio sciamanico-declamatorio, o in “Living Spell” in modalità che banalmente potrei definire pinkfloydiana, con tanto di esplosione centrale e lunga coda strumentale in cui il basso di Francesco Papadia si rivela più interessante dell’assolo di chitarra e wha-wha, un tantino approssimativo.

Entrambe le voci (Mirko e Simona) sembrano un pochino acerbe, ma proprio per questo libere da schematismi e stilismi, autentiche, interessanti. Ad esempio, in “Fortune Teller”, quando lui spinge sui ritornelli “mmmmh I told You…” e sembra che stia facendo la cacca, l’ho trovato veramente genuino (non sono ironico, è un complimento vero).

La sensazione che ho di questo tipo di musica è che sia destinata a dare il meglio di sé se utilizzata come sottofondo, come atmosfera o sonorizzazione mentre sta succedendo altro di più interessante. A me ha fatto buona compagnia per ore in un pomeriggio di lavoro estivo e piovoso, saldando ferro battuto, ma ve lo consiglio anche per aperitivi in golden hour, notti d’agosto solitarie e lunghi viaggi in auto (ma, in questo caso, prima fatevi una RedBull!).

Tutto su “Red Moon Rising” ha un bel gusto vintage e retrò, ma anche di già sentito.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Peep Show
  2. Red Moon Rising
  3. Audrey
  4. One of these Nights
  5. Living Spell
  6. The Fortune Teller
  7. Know my Name
  • Anno: 2024
  • Genere: Psych vintage slow rock
  • Etichetta: Argonauta Records

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