C’è sempre un po’ di timore reverenziale quando ci si approccia a recensire il lavoro di musicisti con più di cinquant’anni di carriera sulle spalle ed è quindi con passo felpato e grande rispetto che proverò a dirvi la mia in merito a questo “Titania”, ultimo lavoro di Maurilio Rossi e i suoi GOAD.

Particolarmente prolifici proprio negli ultimi decenni di carriera, questi attempati fiorentini sono un ottimo esempio di come non sia mai troppo tardi per scrivere e pubblicare nuova musica, se ne abbiamo l’ispirazione e la voglia. Perché è chiaro che questa è musica spontanea e libera, consapevole e priva di ambizioni frivole, di quella che si fa solo se si è fortemente motivati.

Per chi prima d’ora, come me, non li conoscesse, i GOAD suonano un rock progressivo oscuro ma non ostico, intriso di letteratura ed esoterismo, che predilige le atmosfere e i tempi medi rispetto alle fughe pirotecniche.

Purtroppo le note di accompagnamento che ho ricevuto insieme all’album sono assai risicate: non so nemmeno quanti e quali musicisti affianchino il Sig. Rossi! Per quanto ne so potrebbe pure essere tutta opera dello stesso polistrumentista. E data ad esempio la strana natura delle parti ritmiche, credo queste siano più il frutto di un assemblaggio in studio, che di una performance organica da parte di un batterista: abbiamo spesso sovrapposizioni e delay di colpi, come fossero il risultato di input involontari su una batteria elettronica o la concomitanza di loop differenti. Questo genera un effetto di straniamento che, intenzionale o meno, non è affatto avulso dal contesto generale.

Titania” è un disco lungo, impegnativo, un bel mattone, per chi volesse tentare di digerirlo intero. L’omogeneità delle soluzioni ritmiche e melodiche, dopo alcuni brani, può confondere, lasciando la sensazione (neanche troppo spiacevole) di un unico viaggio psichedelico in cui il nostro Virgilio ha una voce appassionata ed acida. Ecco, l’elemento più caratterizzante dei GOAD è proprio la voce libera e incolta di Maurilio che, se nei momenti meno ispirati può ricordare il Ray Davies più autoindulgente o un Peter Gabriel noioso ed enfatico, in quelli più felici ha tutta l’autenticità di un adolescente entusiasta. È vero, non abbiamo quasi mai una melodia vocale vera e propria, sembra quasi di sentire l’equivalente rock dei recitativi dell’opera, con quelle che sembrano improvvisazioni sulle solite poche note, funzionali allo svolgimento del testo. Questo appesantisce non poco l’ascolto per quelli che, come il sottoscritto, sono più affezionati alla forma canzone, ma restituisce in pieno quella dimensione di istrionismo teatrale che sembra essere cara all’autore.

Ho apprezzato particolarmente il brano introduttivo ”Upon A Little Hill” con la sua splendida apertura di organo, l’andamento circospetto, con le chitarre distorte, i fraseggi doppiati dal sintetizzatore e la bella coda col crescendo finale pieno di pathos. Su altri brani ho perso l’attenzione più facilmente, complice una dinamica meno marcata e una generale sensazione di stasi, con brani ellittici che ti avviluppano e fanno perdere il senso del tempo, come in un cerchio delle fate. E, a proposito di fate, la loro regina viene citata in “Who Sent Me Some Roses” liberamente ispirata alla quasi omonima poesia di John Keats (una delle passioni letterarie di Rossi) il cui testo viene spalmato e ripreso lungo tutto il brano. Personalmente non sono un grande fan delle poesie messe in musica, soprattutto quando la musicalità interna ed il ritmo dei versi vengono disarticolati, sbriciolati, e appoggiati o incastrati secondo le proprie esigenze, perdendo tanta della forza originale del componimento.

Atmosfere quasi tra cabaret e musical per ”One Night Like Another”, mentre per “Sea Bird” abbiamo una piccola istantanea, acustica e sognante.

Un nucleo consistente di questo lavoro sono i trenta minuti della conclusiva suite in sei parti “Beauty Is Pain”, che riprende ancora le tematiche keatsiane. Musicalmente abbiamo un riproporsi delle stesse atmosfere oscure, a tratti rarefatte e sospese, altre volte più dense e chitarrose, spesso astratte e prive di un filo conduttore di facile percorribilità. Mi è piaciuto l’andamento da carrozzone dei mostri del terzo movimento “Generation Waste”, mi sono perso nella psichedelia di “Walking Dream”, con le percussioni fuori controllo e gli assoli obliqui e spiraleggianti, ho attraversato lo swing strampalato di “Taking Breath” fino al finale “Fill For Me”, che sembra trascinarsi un po’ più del necessario.

Un disco che mi ha lasciato qualche perplessità, lo riconosco, ma indubbiamente dotato di un suo fascino e di una marcata personalità.

Marcello M

 

Tracklist:

1. Upon A Little Hill

2. Let Fly To The Sun

3. You Say You Love Me

4. To One Who Has

5. Who Sent Me Some Roses

6. One Night Like another

7. Sea Bird

8. To, I Can’t Speak Or Think

9. Beauty Is Pain – Fair Attitude

10. Beauty Is Pain – Away Away

11. Beauty Is Pain – Generation Waste

12. Beauty Is Pain – Walking Dream

13. Beauty Is Pain – Taking Breath

14. Beauty Is Pain – Fill For Me

 

  • Anno: 2023
  • Etichetta: My Kingdom Music 2023
  • Genere: Progressive Rock

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