Quando ho aperto la cartella con i file relativi a questa recensione mi sono trovato davanti una serie di foto dal sapore analogico e ho pensato “ma guarda te ‘sti millennials, chissà che filtro usano per ottenere immagini così simili a quelle che scattavamo noi… 

Poi ho guardato meglio, ho letto la presentazione e ho capito che questa è la pubblicazione postuma di un album che sarebbe dovuto uscire venticinque anni fa e che quei ragazzini dal look anni novanta che suonano strumenti di colori improbabili in quelle immagini sgranate e nebbiose, ora saranno come minimo miei coetanei.

In quest’ottica di retrodatazione, ascoltare “D. eforming N. eural A. ggression” è come entrare in una macchina del tempo che ci catapulta in una Torino in cui quattro ragazzi appassionati di musica estrema iniziano a sentire il bisogno di sfondare i confini del proprio death Metal in direzione di quella sperimentazione che era stata esplorata una manciata di anni prima dai vari Death, Cynic, Atheist e Pestilence.

Per quanto le influenze siano palesi (e dichiarate), va ricordato che un tempo non era così scontato trovare musicisti capaci di rimasticare quel tipo di sonorità e sebbene i momenti che maggiormente catturano l’orecchio siano quelli che ricalcano i celebri modelli di cui sopra, ci tengo a sottolineare la presenza di numerosi spunti compositivi originali e bizzarri, tipici di quel periodo in cui una certa creatività schizoide veniva premiata. Oggi abbiamo molti gruppi tecnicamente più preparati dei Chrysalis, ma anche dischi maggiormente proni a quelli che sono diventati veri e propri stilemi, decisamente più timidi nell’uscire dal seminato.

Ascoltare questo disco è stata una boccata d’aria fresca: ho respirato riff e frenesia, esecuzioni vere, un suono che respira e pulsa.

L’apertura di “Rebirth” propone già tutti gli elementi del progressive death Metal americano, con fraseggi spigolosi, accordi jazzati, frenetiche strutture spezzettate e svisate di basso fretless, ma possiamo già sentire ad esempio un uso particolare delle voci, che si accavallano e rispondono anticipando sonorità più claustrofobie che presto sarebbero dilagate.

Nel disco sono presenti anche brevi tracce strumentali che mi hanno fatto subito pensare alla struttura di un album come “Testimony Of The Ancients”, caratterizzate da un’atmosfera tecnologico/distopica.

Collective Submission” è il brano che in prima battuta mi è piaciuto di più, proprio perché va a pigiare tutti quei tasti che più facilmente ricollegano al gusto melodico e stilistico delle band caposcuola. Ma è con gli ascolti successivi che possiamo individuare e godere la ricchezza di ingredienti buttati nel pentolone, in mezzo a quelli più prevedibili. Ci sono schegge di libertà creativa nella batteria di Sergio, nelle voci di Massimo e Raoul e nei riff (più che negli assoli) di Pierre che sollevano brani come “Echoes Of Loneliness” o “Through The Time” dal semplice tributo ai maestri.

La seconda parte del disco poi, con pezzi come “The Host”, propone iniezioni di cemento che innalzano il peso specifico delle composizioni, imbastardendole con elementi di contemporaneità che suonerebbero tuttora attuali.

Si sente che i Chrysalis stavano annusando l’aria attorno a loro e l’evoluzione del loro suono è evidente già solo all’interno di questi trentaquattro minuti, data la piega da Relapse Records che prendono gli ultimi brani dell’album, fotografia di una band in evoluzione, in omaggio al proprio stesso nome.

Ogni tanto credo farebbe bene a tutti tornare a inzuppare le orecchie in quella terra di mezzo di fine millennio così fertile e variegata di biodiversità.

PS

Sulle varie piattaforme di distribuzione digitale troverete anche il precedente promo di due brani  Abductions”, che vale la pena di essere ascoltato.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Rebirth
  2. One Voice
  3. Collective Submission
  4. Echoes Of Loneliness
  5. Searching Knowledge
  6. Through The Time
  7. The Machine Judgement
  8. The Host
  9. Killin’ Addiction
  10. Sleep King
  11. Neurological Collapse
  • Anno: 2000
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: progressive/technical Death Metal

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