Com’era la frase? “Non è la musica ad essere troppo forte, sei tu che sei troppo vecchio!“ O qualcosa di simile… Beh, è la sensazione che ho avuto ascoltando il nuovo disco dei romani Hideous Divinity, uscito niente meno che per Century Media. Già, perché nonostante millantino un sound “firmly grounded in old school elements” (cit.) io personalmente faccio fatica a riscontrare in questa tipologia di brutal death moderno i miei rassicuranti riferimenti tipo Cannibal Corpse, Nile, Suffocation o Hate Eternal. E probabilmente è un‘ottima cosa: significa che la musica estrema è in costante evoluzione e non vive esclusivamente di rimandi ad un passato codificato e accettato. Eppure continuo a trovarmi disorientato in questo marasma sonoro che trasuda atmosfere claustrofobiche, dove le sensazioni principali sono disagio e fastidio e di cui non riesco a canticchiare neppure un riff. Se il Death Metal di oggi è questo, non è che mi piaccia granché…

Ma dato che le mie malinconie reazionarie contano poco, mi sono fatto coraggio e, agevolato dall‘oggettivamente notevolissimo lavoro di produzione di Stefano Morabito, mi sono tuffato in un ennesimo ascolto, lasciandomi coinvolgere dalla proposta della band.

Potrei utilizzare molti superlativi assoluti per descrivere l‘aggressione musicale degli Hideous Divinity (e non sarebbero a sproposito), ma tanto lo sapete già e, in fondo, è il minimo che ci si aspetti da una band professionale e internazionalmente competitiva come i nostri sono diventati da anni.

La componente atmosferica é una parte importante dell‘economia sonora di questo “Unextinct“, si ha la sensazione che un maligno tappeto di tastiere (che poi magari sono chitarre…) permei la trama del tessuto, tenendo tutto incollato e immergendo la musica in un fluido scuro, una sorta di “black goo“ dall’amaro retrogusto spaziale.

Vengo travolto da arpeggi maligni, blastate frammentate, assoli sapientemente dissonanti e sezioni che si propongono per poi interrompersi bruscamente, sostituite da altre in un susseguirsi di fotogrammi il cui disegno finale ci rimane oscuro, come in quegli esperimenti d‘avanguardia in cui si incollavano insieme segmenti di nastro magnetico. Non mi è rimasto in mente nulla, non un singolo riff, un pattern ritmico originale, un gancio vocale. Smarrimento. Forse è proprio questo l‘effetto a cui puntano?

A spezzare la monoliticità e a rendere l’ascolto meno soffocante ci pensano piccoli frammenti dilatati, l‘intervento sporadico di strumenti acustici o, più esplicitamente, la traccia otto “Der Verlonere Sohn“: un minutino di pausa di tappeto di synth per sturare le orecchie…

Non volendomi arrendere all‘inafferrabilità delle strutture compositive, mi sono proposto un esperimento: ascoltare in loop una singola traccia, col testo sotto mano, alla ricerca di punti di riferimento. L‘ho fatto con gli otto minuti del brano conclusivo “Leben Ohne Feuer“ (solo perché mi piace il tedesco) e devo dire che, pur non comprendendone o apprezzandone la logica, al terzo giro ho avuto qualche gratificazione, gustandomi le variazioni dinamiche, i pieni e i vuoti, i diversi approcci alla vocalità e soprattutto il finale, largo ed epico, quasi melodico, prima della sfuriata hardcore, la sezione del brano più canonicamente ascrivibile ad una “canzone“ heavy. Sicuramente del buon succo c’è, ma spremerlo è un gioco che, per me, non vale la candela.

Sono decisamente troppo vecchio per questa roba.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Dust Settles on Humanity
  2. The Numinous One
  3. Against the Sovereignty of Mankind
  4. Atto Quarto, the Horror Paradox
  5. Quasi-Sentient
  6. Hair, Dirt, Mud
  7. More Than Many, Never One
  8. Der Verlorene Sohn
  9. Mysterium Tremendum
  10. Leben Ohne Feuer
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Century Media
  • Genere: technical blackened modern brutal death Metal

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